Un fastidio non autorizzato e, come tale, causa di noie e seccature, tutto tempo perso che – in un modo o in un altro – va risarcito. Ha dovuto attendere tre anni ma, alla fine, la sua tenacia è stata ripagata: un cittadino tedesco ha ottenuto un indennizzo di 25 euro per due mail spam ricevute nella propria casella di posta elettronica senza nessuna preventiva autorizzazione.
A tanto ammonta, infatti, la somma che il Tribunale regionale di Heidelberg ha stabilito per il tempo occorrente a leggere e cancellare le due mail incriminate. Al di là dell’aspetto pittoresco e della somma esigua, la vicenda riveste una particolare importanza per quanto riguarda l’applicazione delle regole a tutela della riservatezza nel caso concreto.
Prima di questa sentenza, infatti, le prescrizioni del GDPR erano state sovente disattese dai tribunali del Vecchio continente ma, da adesso in poi, qualcosa è destinato a cambiare. Nel diritto interno italiano, la Corte di Cassazione nel 2017 aveva messo paletti precisi (e piuttosto limitanti) stabilendo che, ai fini del risarcimento del danno, è necessario dare prova della serietà del danneggiamento patito dallo spam (Cassazione civile sez. I n. 3311/17). Dalla Corte di Heidelberg, seppur questo non possa ritenersi un precedente vincolante, inizia a soffiare un vento contrario, ovvero quello del risarcimento senza se e senza ma, non avendo – nel caso tedesco – il ricorrente dimostrato di aver subito un maggiore danno. Una sorta di somma base, per il solo fatto di aver ricevuto posta indesiderata e non richiesta. Secondo il prudente apprezzamento del giudice, quindi, 25 euro può rappresentare la giusta somma per il tempo sprecato a premere il tasto “delete”.
Ai sensi dell’art. 82 del GDPR, infatti, chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del regolamento privacy ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare o dal responsabile del trattamento. Nessuno, infatti, aveva dato un consenso esplicito all’invio di quelle due mail e il tempo per aprirle, leggerle e risalire al titolare del trattamento per opporsi sono costati fatica (e non sappiamo se anche sudore). Quindi è giusto risarcire questa trafila, almeno secondo le conclusioni dei giudici teutonici d’appello (in primo grado, infatti, la richiesta era stata respinta).
Non sappiamo se adesso la Cassazione, nel nostro Paese, tornerà sui suoi passi e rivedrà l’orientamento ormai consolidato in materia di risarcimento da spam. Nella sentenza già citata, allo sfortunato ricorrente non solo era stato negato il risarcimento per aver ricevuto le mail-spazzatura, ma lo stesso stato anche condannato alla pena pecuniaria prevista per aver abusato dello strumento processuale, causa intentata, secondo gli Ermellini, per provare un danno “ipotetico e futile, consistente al più in un modesto disagio o fastidio, senz’altro tollerabile, collegato al fatto, connesso ad un uso ordinario del computer, di avere ricevuto dieci email indesiderate, di contenuto pubblicitario, nell’arco di tre anni”. Si ci penserà, forse, dopo le vacanze.