Da sempre, per gli ateniesi, la sommità di quella sorta di piccola montagna che domina la città è detta familiarmente “La Roccia”.
E come migliaia e migliaia di turisti e pellegrini della classicità hanno avuto modo di vedere, risalendone i pendii in cerca della leggendaria geometria del Partenone e della lucentezza del marmo pentelico delle sue colonne, davvero l’Acropoli può dirsi una sorta di gigantesco macigno, la superficie scolpita dagli eventi fin dai giorni dell’incendio di Serse sino ad oggi…Sino ad oggi? Non proprio, non più.
Polemiche roventi come da definizione sono infatti scoppiate di recente ad Atene e all’estero in seguito all’attuazione di un intervento che a parecchi amanti della storia nonché a professionisti dell’archeologia è parso un vero e proprio sacrilegio. La decisione, cioè, di ricoprire parte della superficie pietrosa di quel ricettacolo di memorie con uno strato di cemento. Avete letto bene: cemento, appositamente distribuito per permettere ai turisti di aggirarsi con più comodità attorno all’Eretteo o al grande tempio di Atena Parthenos, seguendo una scia grigia che parte dai Propilei.
Certo, non inciampare per le pietre sconnesse degli antichi selciati, spesso levigate e scivolose, è una bella comodità. Ma valeva davvero la pena, per essa, di inserire in un contesto delicatissimo e prezioso – tanto sotto il profilo storico artistico quanto estetico – una bruttura come questa? Che il tutto sia stato approvato ufficialmente dal Consiglio Centrale Archeologico presieduto da Manolis Korres – architetto di fama in Grecia e non solo, e tuttavia anche capo dei lavori in questione – non pare placare le discussioni.
Chi difende la scelta ha i suoi argomenti: che non si tratti di cemento generico, ma di una miscela particolare – “conglomerato architettonico” – meno aggressiva di quella usuale. Che in questo modo la gestione dell’afflusso turistico sia più semplice, e il vagabondare dei turisti meglio regolamentato. Soprattutto – spiegano i comunicati emessi dal Ministero della Cultura – si è in tale maniera agevolata l’accessibilità dell’Acropoli per i turisti disabili o anziani. Insomma, asserzioni tanto ragionevoli quanto – alla lunga – poco convincenti, almeno secondo diversi amanti dell’arte. Possibile che non esistessero alternative maggiormente rispettose della fragilità di un luogo tanto unico e già sottoposto a manipolazioni varie nel corso del tempo? Legno, per esempio, indicato da vari archeologi non solo come esteticamente meno impegnativo, ma anche più facilmente rimovibile in vista di futuri altri eventuali aggiustamenti.
Se la prevista ricostruzione (o anastilosi) della cella interna al Partenone e dei relativi fregi – di cui sono in corso i lavori – può inserirsi sulla scia dei restauri che già sono stati affrontati per il vicinissimo tempio di Athena Nike, e restano comunque operazioni di precipuo interesse archeologico, la comparsa del cemento sull’Acropoli appare davvero a troppi come dubbia interpretazione del concetto di fruizione dei beni culturali. Segno se non altro che la percezione del valore di una tale testimonianza del mondo classico, non è ancora scomparsa.