Meglio di un romanzo fantasy e della più infelice storia orwelliana c’è solo il progetto cinese delle automobili connesse, veicoli “smart” in grado – in un prossimo futuro – di consentire allo Stato la realizzazione di una vastissima rete di sorveglianza grazie alla quale sarà possibile controllare capillarmente il territorio cinese e i suoi abitanti.
Ovunque ci sarà un’automobile, infatti, e grazie alla tecnologia a bordo dei veicoli di ultima generazione sempre più sofisticata e fatta di microfoni, telecamere e sensori, sarà possibile per il governo cinese intascare dati su quanto avviene per mezzo di tali vetture connesse.
Dopo la massificazione della tecnologia facciale in grado di riconoscere, schedare e catalogare (grazie a telecamere sparse ovunque) i suoi 1,4 miliardi di abitanti, e dopo il “pedinamento digitale” dei cinesi attraverso Wechat (l’applicazione simil-WhatsApp ma in salsa orientale), adesso il governo di Xi Jinping ha compreso il potenziale delle auto connesse, e potrebbe utilizzare tale tecnologia per raccogliere e collezionare dati, abitudini e luoghi visitati dai propri connazionali e da tutti coloro i quali acquisteranno le auto cinesi “smart”, anche all’estero.
Con la scusa di monitorare i parametri vitali del mezzo (consumi, velocità e altri dati che potrebbero – almeno in linea teorica – avere qualche interesse assicurativo e di sicurezza) il governo cinese è in grado già adesso di conoscere tutto di chi è alla guida, compreso il numero di persone trasportate, i bagagli stivati, la posizione del mezzo e quindi i luoghi maggiormente frequentati ecc.., trasformando la Cina in una grande centrale automobilistica connessa.
Senza contare che, grazie ai sensori vocali istallati all’interno dell’abitacolo (il cui utilizzo fisiologico è finalizzato per impartire i comandi al veicolo stesso) un’ipotetica control room sarebbe in grado di poter ascoltare le conversazioni all’interno e all’esterno della vettura, e le telecamere istallate (ad esempio per favorire le retromarce) possono essere tranquillamente usate per prelevare immagini mentre il veicolo è in transito.
Ma, dice il proverbio, come si opera si giudica. Ed è per questo che, recentemente, il governo di Pechino ha vietato a militari e impiegati pubblici di utilizzare veicoli Tesla, proprio perché essi sono dotati di una serie di equipaggiamenti tecnologici che – a dire del governo – potrebbero mettere in pericolo la sicurezza dello stato (leggi spionaggio). L’iniziativa fa seguito alla richiesta di ritiro, nel 2020, di 36.000 vetture create da Elon Musk, a cui il governo cinese ha chiesto di sostituire i touch screen presenti a bordo per presunti “problemi di qualità”, ovvero il timore che tali dispositivi potessero essere utilizzati dall’azienda a stelle e strisce per monitorare gli abitanti cinesi alla guida (e sbirciare quanto accade fuori dall’automobile, compresi obiettivi sensibili o interni di parcheggi militari). Nei giorni scorsi è stato introdotto l’obbligo, a carico di sviluppatori e case automobilistiche internazionali, di richiedere un’apposita licenza per registrare sul territorio cinese i dati raccolti dal veicolo.
Una guerra tecnologica, dunque, giocata sui due milioni di chilometri di strade cinesi che già indica come lunga sarà la via che condurrà alla pace automobilistica.