Nel mercato immobiliare italiano si sta facendo strada il “build to rent”, ovvero costruire per affittare. Le case non vengono più vendute a singoli acquirenti, ma continuano a generare valore e profitto nel tempo per l’investitore tramite il pagamento di un unico canone di affitto da parte del gestore dell’asset.
Dunque, il tradizionale costruttore ha la possibilità di diventare anche gestore di immobili incassando i canoni di locazione dai singoli privati, oppure di affidarlo a gestori qualificati che a loro volta, a fronte del riconoscimento di un canone unico al proprietario/costruttore, percepiranno gli affitti dai singoli locatari.
“Parlare di Build to Rent in Italia significa parlare di innovazione. Il mercato ha sempre più bisogno di questa asset class emergente”. Ad affermarlo, da quanto si apprende dal sito Monitorimmobiliare.it, è Anna Milella, Residential Development Manager di Lendlease, nel corso dell’evento che si è tenuto presso l’Aula Magna Rontgen dell’Università Bocconi dal titolo “Il Build to Rent for Sustainable Real Estate”, organizzato da Lendlease in collaborazione con la SDA Bocconi.
Si tratta di un’occasione per ripensare il vivere urbano del domani superando il tradizionale “costruire per vendere”. Il modello del Build to Rent, a differenza di altri Paesi, non trova una propria specifica collocazione normativa in Italia, ma se ben contestualizzata potrebbe aprire importanti prospettive di sviluppo, dando vita a una vera e propria categoria di investimento con benefici significativi sul bilancio economico italiano.
Il “costruire per affittare” ha come caratteristica peculiare la realizzazione di immobili destinati all’affitto gestito professionalmente. Il cardine del modello proposto, a differenza del build to sell, è la presenza di un operatore professionale specializzato nella gestione di beni immobiliari a destinazione d’uso residenziale che, con adeguati certificati e standard e un orizzonte temporale di almeno 30 anni, eroga servizi correlati alla persona, all’edificio e alla comunità, per esempio dalla manutenzione e servizi per gli edifici all’igiene della casa al baby-sitting, dalla palestra ai servizi scolastici agli spazi di co-working. Una casa, cioè, che permette di avere buona qualità del vivere in cui l’attenzione è posta sui fabbisogni dell’utilizzatore finale.
Il BTR è un fenomeno globale emerso quando i mercati immobiliari europei si sono istituzionalizzati a causa della mancanza di offerta di alloggi. Secondo una recente ricerca della British property federation (Bpf) e di Savills, l’offerta di BTR aumenterà di cinque volte fino a costituire 380mila unità. Il settore raggiungerà una dimensione di mercato pari a 170 miliardi di sterline nel solo Regno Unito.
Il mercato immobiliare italiano, secondo we-wealth.com, nonostante la crescente domanda nelle aree metropolitane, soffre di una carenza di prodotti disponibili a causa dell’eccessiva frammentazione dell’offerta e di una quasi totale assenza di immobili indipendenti da adibire a tale scopo, oltre che per difficoltà legali e fiscali nell’implementazione del modello. La carenza di alloggi ha esercitato un’enorme pressione sugli affitti nelle grandi città, soprattutto a Milano.
Per gli investitori internazionali il BTR rappresenta un’opportunità per la diversificazione del portafoglio, ma anche un modo per produrre reddito in modo sostenibile, essendo altamente difensivo in termini di flussi di cassa. Inoltre, offre chiare opportunità per creare abitazioni a basse o nulle emissioni di carbonio (net carbon zero building) e per costruire comunità di residenti guidate dal rispetto di criteri Esg (Environmental Social Governance).