Il 2019 si conferma “annus horribilis” per la creatura di Mark Zuckerberg. Una nuova violazione ha sottratto numeri di telefono, mail e dati personali di 267 milioni di utenti. In attesa di una valanga di phishing e spam il pianeta si interroga sulle regole a tutela della riservatezza
Non si è concluso bene il 2019 per Facebook, il social network più famoso del mondo. A posto del tradizionale panettone e spumante (o, visto il personaggio, meglio lo champagne) sotto l’albero di Mark Zuckerberg sono apparse solo grane. Ultima, in ordine di apparizione, l’allarme lanciato dalla società Comparitech, che in chiusura dello scorso anno ha evidenziato l’ennesima falla sulla piattaforma americana.
Stando a quanto scoperto dal ricercatore Bob Dianchenko, infatti, lo scorso dicembre oltre 267 milioni di profili FB sono stati razziati da ignoti cybercriminali ed esposti alla mercé di tutti. Nomi utenti, numero di telefono e informazioni personali sono stati resi pubblici in un database al quale si poteva accedere liberamente, senza l’utilizzo di password.
Non è ancora chiaro come il tutto sia avvenuto e, soprattutto, come siano state violate le misure di protezione predisposta da Facebook per tutelare l’identità dei suoi iscritti. Dalle prime ricerche pare che tale (ennesima) violazione sia stato il frutto di un gruppo di internauti vietnamiti che, impiegando una tecnica informatica denominata “web scraping” (letteralmente “raschiare il web”), ha raccolto in un database una mole considerevole di informazioni presenti sul social network, pubblicandoli poi su diversi forum di hacker, e consentendone così a chiunque di entrarne in possesso. Il numero complessivo di profili trafugati è stato pari a 267.140.436, in gran parte statunitensi. Un nuovo Good morning Vietnam.
La vicenda in esame rappresenta l’epilogo di una serie di disavventure del popolare social, episodio che mette in luce il vero nervo scoperto di Facebook, ovvero le mille contraddizioni nella gestione sicura dei dati dei suoi iscritti, allarme lanciato dalla comunità del web e raccolta dalle istituzioni di mezzo mondo. Solo per rimanere agli ultimi mesi, il Garante per la protezione dei dati personali italiano ha comminato lo scorso anno una sanzione di 1 milione di euro nei confronti della famigerata piattaforma rea, a giudizio dell’Autorità (guidata allora da Antonello Soro) di aver compiuto un illecito trattamento dei dati personali dei nostri connazionali nell’ambito del famigerato caso Cambridge Analytica.
La multa del garante italiano, benché miliardaria, pare essere ben poca cosa rispetto alla sanzione comminata negli Stati Uniti per la medesima fattispecie: 5 miliardi di dollari è il valore dell’ammenda spiccata dalla Federal Trade Commission nei confronti della creatura di Mark Zuckerberg nel luglio 2019. Da molti considerato un “buffetto” in considerazione degli utili generati dalla società di Menlo Park (il fatturato medio trimestrale di FB viaggia intorno ai 15 miliardi di dollari), l’accento si è subito spostato sulla reale capacità della regolamentazione di porre un freno alle condotte illecite dei giganti di Internet.
In attesa di trovare la ricetta magica capace di mettere al sicuro le informazioni degli utenti gli esperti invitano a modificare le impostazioni privacy direttamente nel menù impostazioni di Facebook. Forse per tentare di arginare la prossima fuga di notizie che, se tanto mi dà tanto, non tarderà ad arrivare.