Il dibattito sul Mes si è gonfiato a dismisura nelle ultime settimane. Eppure se si studiasse il funzionamento del Fondo Salva Stati si apprenderebbe che, anche se la riforma passasse domani (ma è stata rinviata a marzo 2020), non cambierebbe in buona sostanza nulla. Uno sforzo collettivo nel litigare sul dito che neanche sa più indicare dove sia (ma anche cosa sia) la luna
Nelle ultime settimane sull’eventuale riforma del Mes politici di ogni ordine e grado si son sentiti in dovere di dire la loro. Un meccanismo sul quale, secondo sondaggi più o meno autorevoli, oltre il 60% degli italiani non sa né cosa sia né come funzioni, ha spinto tuttavia gli esponenti di ogni schieramento a prenderne le difese o le distanze, ad alimentare pagine di quotidiani e web, a monopolizzare tribune politiche televisive e telegiornali.
Qualcosa sul quale gli studiosi di scienze politiche possono sbizzarrirsi e potranno farlo ancora a lungo, almeno per due ragioni. La prima è che il Fondo Salva Stati, che negli anni a cavallo della crisi ha erogato prestiti per 295 miliardi, risollevando le sorti – pur con compromessi soffocanti – di Grecia, Irlanda e Portogallo, giusto per menzionarne qualcuno, è da diversi anni “dormiente”.
Un po’ per fortuna, un po’ per lungimiranza e un altro po’ perché in fondo certe lezioni si imparano anche, il Mes non ha più erogato prestiti e, almeno nell’ultimo lustro, si è limitato a “vigilare” sulla stabilità economico-finanziaria dell’Eurozona e a tenere lontano le speculazioni. Un punto quest’ultimo, sottovalutato se si considera che assalti – finanziari ça va sans dire – come quello di Soros del ’92 a sterlina e lira, non sono più stati possibili dall’introduzione della moneta unica, con buona pace degli euroscettici e dei detrattori vari dell’Europa così come la conosciamo.
Tornando al Mes e alla sua eventuale – pardon, certa – riforma (secondo le dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo Centeno), vi è anche una seconda ragione che alimenterà le elucubrazioni dei politologi: la riforma, così come è dato di apprendere, non cambia sostanzialmente nulla di quello che è l’impianto del meccanismo stesso. L’aiuto agli Stati in difficoltà ad esempio, arriva da sempre dopo le verifiche opportune sulla sostenibilità del debito, solo che fino ad oggi l’organo incaricato era la Bce; con il passaggio “riformista”, se ne occuperà il Mes stesso attraverso un suo board interno.
Un altro punto oggetto di grandi discordie parlamentari che hanno visto molti politici dare prova di ‘oratoria’ è legato alle ingerenze delle banche: peccato che la collaborazione da parte dei privati, in maniera “adeguata e proporzionata”, sia presente dalla fondazione del Fondo Salva Stati; con il nuovo ordinamento, diciamo così, il Mes avrà un ruolo di maggiore mediazione, e dunque tutela, tra i creditori privati e gli Stati in difficoltà. Anche per la tanto temuta ristrutturazione automatica del debito sovrano (sul quale prima o poi qualcuno in Italia dovrà pur ragionare) si tratta di una fake news: nessuna richiesta di aiuto, né prima né dopo la riforma, comportava e comporterà interventi automatici sul debito.
Difficile quindi, anche per i pensatori più fini, capire perché la classe politica italiana si sia scagliata contro questa riforma, con eccessi registrati dalle forze di opposizione (che però quando si è iniziato a parlare di riforma erano al Governo) ma anche da alcune forze di maggioranza (che erano comunque presenti nel precedente Esecutivo). A pensar male – che in parte si fa sempre bene – verrebbe da considerare che vi è uno sforzo collettivo nel discutere del dito che neanche riesce più a indicare la luna.
Eppure un Governo già in equilibrio precario ha dovuto mandare il suo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, europeista della prima ora ed europarlamentare per dieci anni, a fare la parte del duro in un lungo negoziato a Bruxelles, ottenendo, di fatto, solo un rinvio al primo trimestre 2020. Non sono stati fatti passi avanti sulla stabilità bancaria e il meccanismo del backstop – vitale per gli istituti di credito italiani, mica per quelli tedeschi – e non è stato aggiunto nulla sulle CACs, ovvero le clausole di azione collettiva, che definiscono le procedure nel caso di ristrutturazione del debito sovrano.
Nessuno ha voluto pensare, anche solo per un istante, a quanto possa servire alla piccola vecchia Europa la riforma di un Fondo che punta a rafforzare la stabilità dell’area Euro, pensando invece che volesse inoculare il virus dell’instabilità. Chissà perché.