A prescindere da quale sarà il vero epilogo della crisi di Governo emerge un dato singolare che accomuna tutte le spaccature all’interno degli esecutivi che si sono avvicendati negli ultimi 25 anni: una ricerca di supporto, a tratti disperata, a volte sfacciata, in alcuni casi svogliatamente accettata verso il centrismo.
Senza scomodare saggisti ed esegeti di storia della Repubblica, basta passare in rassegna i propri ricordi per arrivare in fretta alla conclusione che nel ciclo di vita, che fosse breve o più duraturo, dei Governi da metà anni novanta ad oggi, la necessità di un baricentro moderato, di un fulcro centrista sia stata una componente ben più che fondamentale.
La stagione dei ricordi si apre con il primo governo Berlusconi del ‘94 che nel recuperare tutti i reduci della Prima Repubblica non potette fare a meno di tirare a bordo il Centro Cristiano Democratico, frangia più destrorsa di quella che fu la DC. Un’operazione dettata non tanto per avere i numeri nelle aule del Parlamento ma quanto più per non spostare eccessivamente a destra la coalizione, con l’allora MSI con tanto di fiamma tricolore nel simbolo e la Lega Nord della prima ora, ancora in cerca di definizione, ma decisamente agguerrita e poco disposta al dialogo con le altre forze politiche.
Non fu da meno la prima esperienza a Palazzo Chigi della sinistra post comunista quando nel ’96 la coalizione dell’Ulivo scelse come guida un moderato per definizione, l’economista d’area cattolica Romano Prodi che piaceva anche all’altra metà del cielo della vecchia DC, ovvero il Partito Popolare Italiano. Nei primi anni duemila Berlusconi replicò lo schema che ne aveva decretato il successo dell’esordio e guidò due governi ribadendo la sua leadership all’insegna dei valori di una destra liberale e moderata, fedele all’atlantismo e all’europeismo. E, nel grande schieramento che lo accompagnò nella lunga stagione politica a fianco di componenti più estremiste, non si fece mai mancare il supporto dei cattolici che cambiarono nome più volta senza mai rinunciare al rassicurante scudo crociato.
Quando Prodi ottenne per la seconda volta le chiavi di Palazzo Chigi la maggioranza risicata che lo appoggiava dovette far affidamento all’Udeur di Clemente Mastella, neanche a dirlo ex-DC che decretò la nascita e la fine del Prodi II.
L’ultima volta del Cavaliere alla Presidenza del Consiglio, prima di essere travolto definitivamente dalla crisi economica e dall’impennata dello spread, fu caratterizzata dall’appello, nei momenti più delicati, ai cosiddetti “responsabili”, ribattezzati con più nomi anche in queste settimane. Parlamentari animati dall’amor di patria orbitanti, nel corso della loro vita politica, tra i due principali schieramenti in un non meglio definito centro.
Nelle politiche del 2013 l’exploit del Movimento 5 Stelle sparigliò le carte e, per uscire dall’impasse e dare al Paese un Governo, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano trovò nel raffinato aplomb moderato di Enrico Letta, il punto di convergenza delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra.
Ma anche per l’arrembante cavalcata di Matteo Renzi a Palazzo Chigi dovette avvalersi di un passaggio al centro per sopravvivere.
In buona sostanza, dall’introduzione del cosiddetto “Mattarellum”, legge elettorale che ha aperto le porte al bipolarismo, eliminando i paradigmi della Prima Repubblica e inaugurando la stagione della contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, la forze centriste moderate son state l’ago della bilancia di ogni esecutivo politico (lasciando perdere governi tecnici) e la fuoriuscita di queste dal progetto di governo o la ricerca delle stesse per mantenere l’esecutivo in vita è stato il comune denominatore per tutti.
Un percorso comune che risponde forse alla necessità implicita degli italiani, che tanti estremismi hanno vissuto e subito, di esser rassicurati da una grigia ma costante componente di moderatismo in ogni forma di establishment.
Non deve dunque destare troppo stupore “la riscoperta del centro” da parte dell’attuale Presidente Conte, in quanto non è altro che il leitmotiv della politica italiana degli ultimi 25 anni e forse, a onor del vero, è atteggiamento che ne decreta la vera maturità politica.
La sola differenza, anche a limitarsi a meri cronisti della storia, è che rispetto ai suoi predecessori l’attuale inquilino di Palazzo Chigi sta attraversando la più grande emergenza sanitaria della nostra epoca con conseguenze economiche, sanitarie e sociali che non è ancora possibile prevedere in che misura e quanto a lungo si protrarranno. E’ forse tempo ogni ricordo di verginità politica, di calcare percorsi anche impopolari come già fatto in passato e aprire la stagione delle scelte. Non è il in alcun modo il tempo per decidere di non decidere.