Contributo del dott. Roberto Necci*
Il turismo rappresenta uno degli asset fondamentali del nostro Paese, sia come incidenza sulla produzione industriale che come assorbimento di forza lavoro. Secondo le rilevazioni della Banca d’Italia l’indotto generato dalla intera filiera del turismo si aggira intorno al 15 % del Prodotto Interno Lordo, la filiera impiega almeno 3,5 mln di lavoratori.
Un fenomeno decisamente complesso sotto una molteplicità di punti di vista, non da ultimo quello legislativo delegato alle Regioni e non al Parlamento e che incide pesantemente sull’economia delle città. Un fenomeno molto dipendente dai mercati esteri visto che l’Italia ha da sempre esercitato un particolare fascino, i turisti internazionali sono attratti dalla nostra arte, dalla nostra cultura, dalla nostra cucina ed in generale dallo stile di vita italiano.
Se a livello nazionale il turismo nazionale pesa in percentuale come quello estero in alcune destinazioni come le città d’Arte (Roma, Firenze, Venezia in primis) l’incidenza del turismo internazionale sul fatturato delle strutture ricettive arriva ad essere di oltre l’80%.
Quello italiano è quindi un turismo strettamente legato alla possibilità di questi mercati di muoversi e di conseguenza permettere all’intera filiera di lavorare: ristoranti, musei, guide turistiche, accompagnatori, noleggiatori, tassisti, negozi in alcune zone delle città servono esclusivamente clientela internazionale. Da marzo 2020 tutto il mondo si è fermato; l’impossibilità agli spostamenti ha lasciato l’intera filiera del turismo senza la materia prima: il turista. Un blocco degli spostamenti imposto anche in Italia che ha eliminato anche l’opportunità del mercato interno pensiamo a congressi, eventi e manifestazioni. Se qualche movimento turistico si è registrato d’estate verso le località balneari da sempre contraddistinte dal mercato italiano, le città d’arte, invece, sono rimaste inesorabilmente vuote. Basta passeggiare per il centro di Roma e vedere vetrine abbassate, ristoranti chiusi e soprattutto, fenomeno che non conoscevamo neanche in tempo di guerra, ovvero gli hotels chiusi.
A Roma, come nelle città d’arte, il turista statunitense la fa da padrone, seguito dal turista tedesco, inglese, francese, spagnolo, giapponese e da qui il motivo della desertificazione delle nostre città. Il governo ha garantito da subito all’associazionismo di categoria, rappresentato per il settore alberghiero dalla Federalberghi, un’interlocuzione sin dai primi giorni del lockdown e alcuni interventi sono stati messi in campo: dall’assistenza al reddito per la forza lavoro all’eliminazione di alcune tasse, sino al fondo perduto che tuttavia non è stato all’altezza delle necessità delle aziende alberghiere che, come noto anche da chiuse costano molto. In questo scenario non è certo che le aziende possano ripartire, ma la chiusura definitiva di alcune attività precluderebbe le politiche a sostegno dell’occupazione quando ci sarà la ripartenza dei mercati e pertanto la sfida del governo sarà quella di mantenerne l’interezza.
E’ di questi giorni inoltre l’insediamento di un nuovo governo guidato da Mario Draghi probabilmente l’italiano più noto al mondo negli ambienti finanziari, una nomina voluta dal Presidente Mattarella che dà una chiara indicazione su un aspetto: il rapporto con l’Europa. E’ presumibile quindi che l’Italia, con l’aiuto dei finanziamenti messi a disposizione dell’Europa, possa finanziare i settori strategici per il suo futuro ed è altresì evidente che un settore che pesa come si è detto il 15% della produzione industriale e offre lavoro a 3,5 milioni di persone non può non essere considerato come strategico per una eventuale ripresa.
Ovviamente il turismo ha necessità anche di investimenti in infrastrutture, formazione ed una politica di indirizzo nazionale che permetta di considerare il turismo come asset strategico. In questo, un governo a spiccata matrice europeista può essere davvero la svolta.
- Presidente Centro Studi Federalberghi Roma