Incredibile ma vero, Mark Zuckerberg ha appena presentato le linee di moda disponibili per gli avatar che popolano il Metaverso, sfilando persino lui stesso come modello digitale per alcuni abiti di lusso.
Infatti, attratti dalle potenzialità del nuovo mercato, marchi di fascia alta come Balenciaga, Prada e Thom Browne hanno recentemente concluso accordi con “Meta Platforms” per portare le loro creazioni all’ultimo grido nel Metaverso. Insomma, gli utenti potranno adesso acquistare abiti digitali griffati da far indossare ai loro avatar personali; i quali, vale la pena di ricordare, consistono in un’esatta rappresentazione in 3D di ciascun utente, in grado di riprodurre fedelmente addirittura le espressioni e i gesti della sua controparte in carne ed ossa.
Proprio al riguardo, Zuckerberg si è detto entusiasta delle nuove possibilità di personalizzazione offerte a tutti gli utenti del Metaverso, anche se in realtà sono i marchi di alta moda ad aver fatto bingo con questo accordo, perché le vendite di abbigliamento digitale rappresentano una ghiotta occasione di profitto: difatti, i costi generali sostenuti dalle aziende sono minimi; inoltre, non c’è il rischio di sovraccaricare la produzione né l’onere di dover gestire complicati processi logistici. Come se non bastasse, si possono facilmente modificare e riutilizzare in continuazione gli stessi modelli digitali, senza l’impegno di crearne dei nuovi da zero.
In questa declinazione la moda virtuale, così come in generale tutti gli altri beni digitali, rappresenterebbe un modo importante per esprimere la propria personalità nel vasto Metaverso, nonché un grande motore per alimentare la cosiddetta economia creativa. I vantaggi della moda digitale sono dunque molteplici, tra cui quello di non generare rifiuti industriali e inquinamento come accade invece con i capi di abbigliamento reali; tuttavia, le nuove frontiere dell’abbigliamento virtuale non contribuiscono a risolvere purtroppo le stesse problematiche anche nel mondo reale.
Difatti, il bisogno per le persone di continuare a vestirsi per la vita quotidiana resta e con esso rimane invariato anche il peso, ormai insostenibile, dell’inquinamento causato dall’industria tessile: l’enorme quantità di indumenti prodotti e l’estrema velocità con la quale vengono distribuiti, appunto, hanno contribuito a triplicare il quantitativo di capi d’abbigliamento acquistati dai consumatori, che ormai puntano ad accaparrarsi quantità maggiori ad un ritmo sempre più veloce. Per rispondere alle esigenze del mercato, i produttori hanno così dato vita al preoccupante fenomeno noto come “fast mood”; ossia alla pratica di immettere in commercio, nel minor tempo possibile, vestiti di qualità scadente venduti a prezzi irrisori, che nella maggior parte dei casi vengono lavorati usando strumenti e agenti altamente inquinanti, grazie allo sfruttamento di manodopera troppo spesso sottopagata.
Dunque, le aziende di moda, dopo aver messo alla prova le loro creazioni nel Metaverso e, ancora prima, in applicazioni simili come Fortnite e Roblox, sono chiamate ora a risolvere una sfida ben più importante che quella di trovare nuove opportunità di investimento a basso rischio. Occorre quanto prima, infatti, modificare alla base il modello produttivo dell’industria tessile per ridurre il volume di capi confezionati, scegliendo di utilizzare fibre naturali e restituendo ai lavoratori dignità e un salario equo. Inoltre, applicando i principi dell’economia circolare, si potrebbe intensificare il riciclo dei vecchi abiti usati, che purtroppo attualmente risulta essere una pratica dagli scarsi risultati.