C’è uno strano paradosso che attraversa la campagna elettorale in corso. Se da una parte tutti i sondaggi indicano che quasi un elettore su due non ha ancora scelto per chi votare – una percentuale così ampia da poter scompaginare tutte le previsioni, se anche solo una parte di quegli indecisi si recasse poi alle urne – dall’altra pare che nessun partito voglia parlare a quegli indecisi e che, anzi, tutti gli sforzi si concentrino esclusivamente sul proprio – spesso esiguo – elettorato di riferimento.
L’ultimo in ordine di tempo, a scegliere questa strada di parlare solo ai propri supporter, è stato Marco Rizzo, con il suo famoso post di giubilo per la morte di Gorbaciov.
Al di là dell’opportunità di stappare champagne per la scomparsa di chicchessia, ciò che stupisce in quella comunicazione è l’estrema autoreferenzialità di un messaggio che risulta essere poco convincente, forse persino per gli stessi fan di Marco Rizzo.
Gorbaciov, in quel messaggio, viene additato come il colpevole del crollo dell’Urss, dunque persona da condannare anche post mortem. Si potrebbe discutere a lungo sull’esattezza di quest’analisi – considerato anche il fatto che a liquidare l’Unione Sovietica formalmente fu Boris Eltsin e non Michail Gorbaciov – ma, sebbene io capisca che la figura di Gorbaciov possa suscitare poche simpatie in chi, come Marco Rizzo, continua a sentirsi orgogliosamente “comunista”, mi chiedo anche in quanti, nel suo stesso partito, condividano queste tesi.
Forse pochi, visto che persino uno degli esponenti di punta del Partito Comunista, cioè quella Micaela Quintavalle che alle amministrative del 2021 era stata indicata proprio da Marco Rizzo come candidata del partito a sindaco di Roma, nonostante la campagna elettorale in corso, ha deciso di prendere pubblicamente le distanze dal post del segretario del PC.
Un certo imbarazzo si avverte anche negli altri movimenti che fanno parte della coalizione “Italia Sovrana e Popolare”, quella con cui Rizzo si candida alle prossime elezioni politiche: dai sovranisti di “Riconquistare l’Italia”, ad “Ancora Italia”, al gruppo di “Azione Civile” che fa capo ad Antonio Ingroia. Tutti movimenti che non vengono dalla storia del Partito Comunista e che, dunque, non sempre condividono la visione del passato indicata da Marco Rizzo.
Perciò viene da chiedersi come mai, il leader di una lista che si è a lungo vantata proprio di aver riunito persone e storie politiche diversissime fra loro, alla prima occasione, nel pieno della campagna elettorale, se ne esordisca con un tipo di comunicazione estremamente divisivo, che parla solo a una parte dei propri sostenitori, escludendo tutti gli altri.
Escludendo soprattutto la possibilità di presentarsi in modo accogliente e convincente agli occhi di un elettorato potenziale, che certo non può limitarsi ai soli iscritti al PC e deve poter abbracciare almeno una fetta di quel 30%-40% d’indecisi segnalati da tutti i sondaggi, se vuole poi avere un risultato elettorale soddisfacente e un reale peso politico.
Insomma, la comunicazione di Rizzo finisce per parlare solo ai “suoi”, dividendo il mondo fra un “noi” – “noi pochi, noi felici pochi” avrebbe detto Shakespeare – che capiscono le cose e sanno quanto “male” Gorbaciov abbia fatto al mondo, contro di “loro” che non lo hanno capito, non lo capiscono, né lo capiranno mai e con cui, quindi, non vale nemmeno la pena di parlare.
Uno dei vari aspetti paradossali di questo tipo di comunicazione è che, se “Italia Sovrana e Popolare” dice di volersi presentare agli italiani come il partito “antisistema” per antonomasia, in realtà le sue scelte comunicative finiscono per essere praticamente identiche a quelle del più “governista” dei partiti in lizza alle prossime politiche: il Partito Democratico.
Anche Enrico Letta, infatti, ha scelto una campagna tutta incentrata sul “noi contro loro”. Noi, i giusti che fanno le scelte giuste. Loro, i malefici che non ne imbroccano una. Una campagna manichea, del bene contro il male, del rosso contro il nero, dei buoni contro i cattivi. Senza mezze misure. Il tutto alla faccia del “campo largo” ricercato inizialmente dal PD.
Quanto può essere “largo”, infatti, un campo che stigmatizza chiunque non condivida, fosse anche su un singolo punto marginale, le idee del PD? Un partito che – stando alla sua campagna mediatica – su ogni piccola cosa, anche insignificante, chiede di scegliere in modo netto, irrevocabile, senza possibilità di mediazione, di dubbio, di compromesso. Persino su come condire l’amatriciana.
Anche in questo caso, dunque, si tratta di una comunicazione che non è rivolta agli indecisi, ma serve solo a gratificare e galvanizzare i “nostri”, cioè chi già in precedenza aveva scelto di votare per il PD o per i suoi alleati. Anche in questo caso, visti i sondaggi, ci si chiede come mai si rinunci in partenza ad allargare la propria platea di consenso, limitandosi a titillare l’ego di quella minoranza d’italiani – stando a tutte le rilevazioni – che oggi preferisce il centrosinistra al centrodestra.
Ancora una volta si parla solo a “noi pochi, noi felici pochi”.
C’è da dire, comunque, che sia gli slogan di Enrico Letta, sia i post di Marco Rizzo hanno avuto una grande eco mediatica. In nome del “bene o male purché se ne parli”, la campagna del PD e quella di Italia Sovrana e Popolare potrebbero dunque apparire decisamente vincenti, viste le migliaia di commenti e di meme che hanno provocato. Chi pensa questo, però, non tiene conto delle specificità che ha una campagna politica, che non segue le stesse identiche regole della pubblicità per una marca di salumi o di pannolini.
L’esempio più evidente di questa specificità, è forse Mario Adinolfi, l’ex parlamentare PD, animatore del Family Day, ma, soprattutto, re incontrastato della provocazione politica via social. I suoi tweet e i suoi post – sempre molto “fuori dalle righe” – sono sistematicamente rilanciati e commentati da milioni d’italiani. Questo però si traduce anche in consensi per lui al momento del voto?
Quando Mario Adinolfi si presenta alle elezioni, quei milioni di commenti e di condivisioni paiono svanire. Le liste che Adinolfi, di volta in volta, propone, non superano mai la quota dello zerovirgolapoco, in nessun tipo di competizione elettorale, fino al clamoroso flop di Ventotene, quell’isola in cui Adinolfi, a giugno, si era candidato a sindaco, ottenendo la quota record di zero voti.
Dunque – ma posso sbagliare – rispetto alla strategia scelta da un Letta o da un Rizzo, al momento ritengo enormemente più efficace la campagna di più basso profilo decisa dai vari partiti di centrodestra. Sebbene anch’essa non sia esente da difetti, perlomeno prova a parlare a una platea un po’ più ampia di potenziali elettori. Poi, certo, lo fa con mille errori di strategia comunicativa.
Ad esempio, quel Silvio Berlusconi che, quotidianamente, posta una “pillola” di programma su Facebook o su TikTok, pare aver tirato fuori molte delle sue “nuove” idee da un qualche cassetto polveroso, rimasto chiuso dal 1994 e che del 1994 ricalca, stancamente e in modo eccessivamente “vintage”, lo spirito e lo stile.
La Lega, invece, chiede ai suoi potenziali elettori una professione di fede: “Credo” è il suo slogan. Una richiesta di fiducia preventiva, buttata lì un po’ così, a prescindere da tutto e che non molti elettori ritengo siano così tanto disposti – anche giustamente – ad accordarle a occhi chiusi.
Infine Fratelli d’Italia, che si vuole dimostrare pronta a governare. E difatti “Pronti” è il suo slogan. Che scritto così, sotto il faccione di Giorgia Meloni, fa tanto pensare a una telefonata un po’ fantozziana, fatta magari a Ursula Von der Leyen, o a un qualche altro leader europeo, forse imitando l’accento svedese: “Meloni, è lei?!”.
Resta il fatto che nessun partito, al momento, sembra voglia provare invece a “telefonare” – con o senza accento svedese – a quella metà d’italiani che non hanno ancora scelto per chi votare. Come se quei voti fossero ormai dati per persi.
Eppure, se qualcuno ci provasse davvero a prenderseli quei voti, e magari ci riuscisse, finirebbe forse per vincerle le elezioni. Sondaggi o non sondaggi. Ma questa tornata elettorale, chissà perché, pare essere fatta nel più puro e nobile spirito olimpico, quello indicato dal barone Pierre De Coubertin: “l’importante è partecipare”. Almeno così è, a giudicare dalla comunicazione scelta un po’ da tutti i partiti.