La moglie non può invocare il diritto alla privacy riguardo alle mail da essa stessa scambiate su un sito di incontri, se il marito – utilizzando le credenziali di accesso alla posta elettronica della consorte – entri in possesso, legga e produca in giudizio tali messaggi, per dimostrare la relazione extraconiugale della coniuge e richiedere l’affidamento esclusivo dei figli.
A questa conclusione è giunta la Corte europea dei Diritti dell’Uomo lo scorso 7 settembre nella causa Mp contro Portogallo (requête n. 27516/14) nella quale una donna lamentava, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione EDU, che il suo ex marito fosse entrato in possesso – senza nessuna autorizzazione – di messaggi di posta elettronica che la stessa aveva scambiato su dei siti di incontri, producendo gli stessi in tribunale per sostenere le ragioni del divorzio.
L’uomo, nella sua difesa, affermava di aver scoperto sul computer di famiglia alcune mail scambiate tra la moglie e altri “amici di penna” su un sito di incontri occasionali, prova provata delle relazioni extraconiugali della donna mentre i due erano ancora sposati. L’accesso alle mail, secondo invece quanto sostenuto dalla signora, era stato ottenuto senza il suo consenso, anzi, abusando delle credenziali di posta elettronica. Durante il dibattimento dinanzi il tribunale portoghese, infatti, si è scoperto che l’uomo aveva avuto accesso alla casella mail della moglie sperimentando diverse possibili combinazioni di password, segnale inequivoco che la ricorrente non aveva permesso al marito di accedere alla messaggistica.
Nel processo nazionale, la Corte d’Appello di Lisbona aveva dato ragione al marito, sostenendo che “i fatti in questione(l’uso delle mail della moglie da parte del marito in un giudizio, ndr) facevano parte del patrimonio morale comune della coppia, che implica una tacita autorizzazione all’uso dei messaggi, almeno nell’ambito del rapporto coniugale”. Di avviso contrario la donna, che sosteneva come tali messaggi fossero personali e che qualsiasi individuo possa legittimamente aspettarsi che essi non vengano divulgati senza consenso, e la cui diffusione porti a soffrire un senso di intrusione molto forte nella “vita privata” e nella “corrispondenza”, entrambi princìpi tutelati dall’articolo 8 della Convenzione. Secondo la donna, infatti, l’intenzione del suo ex coniuge non era tanto di disporre di quelle mail per dimostrare in giudizio il tradimento, quanto piuttosto quella di umiliarla.
Non di questo avviso la Corte EDU, secondo la quale i messaggi privati che il coniuge scambia su un sito di incontri possono essere utilizzati nella causa di divorzio, a meno che la loro divulgazione non violi la sua privacy, proprio come nel caso di specie, dove le mail adulterine sono state impiegate soltanto ai fini di sostenere un giudizio per determinare la responsabilità del coniuge in relazione alla fine del matrimonio, e non diffuse al di fuori della causa.