Non serve essere un luminare della scienza, un professore in carriera, magari nominato Ministro, o un qualificatissimo ex banchiere (col vezzo del Quirinale) calato dall’alto per portare il nostro Paese fuori dall’emergenza sanitaria, per farsi un’idea di cosa sia la scuola al tempo della pandemia.
E’ sufficiente vestire i panni di un genitore qualunque che tutte le mattine porta i propri figli a scuola e tutte le mattine ha a che fare con i soliti problemi che il sistema scolastico in maniera ossessivamente coerente ripropone ormai da anni: edifici scolastici fatiscenti, classi che sembrano stalle dove stipare il bestiame, insegnanti sempre più precari (e forse per questo sempre più svogliati), ragazzi disabili abbandonati al proprio destino. Per non parlare dei servizi per l’infanzia, considerati un vero e proprio bancomat dove gli Enti locali, con il silenzio-assenso del governo centrale, accolgono i più piccoli senza aver messo in campo alcuna iniziativa concreta per provare a contenere il virus.
Uno scenario, appunto, perfettamente coerente con la storia politica di un Paese che ha costruito ad arte la convinzione che l’istruzione, nonostante la nostra Carta la indichi fra i diritti fondamentali, fosse qualcosa appannaggio di pochi eletti, magari di sinistra, anche se leggendo le riforme del sistema scolastico griffate dai comunisti prima e dai democratici poi sarebbe da pensare che certi luoghi comuni sono davvero singolari. Roba da vero made in Italy.
Fin qui, tristemente, tutto nella norma. Salvo ascoltare le parole di Super Mario Draghi che nell’ultima conferenza stampa in cui si è concesso agli italiani, previa contrattazione delle domande a cui rispondere, ha sostenuto che “la scuola è fondamentale per la nostra democrazia, va tutelata e protetta e non abbandonata“.
L’ossessione del governo Draghi e del ministro Bianchi di riaprire le scuole dopo le vacanze di Natale, senza aver messo in campo alcun provvedimento concreto, è qualcosa di clamorosamente patologico che andrebbe analizzato, in questo caso si, da uno strizza cervelli pronto per il premio Nobel.
Un’ossessione compulsiva quella di nonno Draghi che forse sotto l’albero chissà quale promessa aveva fatto ai suoi nipotini, salvo poi farli tornare in classe nelle stesse identiche condizioni vissute in questi anni di emergenza sanitaria: senza mascherine ffp2, in classi pollaio, senza servizi di areazione, con sanificazioni all’acqua di rose e soprattutto senza un tracciamento dei casi idoneo a bloccare la diffusione del virus. Tutto questo continuando a mettere le mani in tasca agli italiani, con tariffe, parliamo sempre di nidi e materne, vergognosamente superiori ai servizi offerti ma soprattutto con nessun supporto sanitario ed economico fornito in questi anni alle famiglie, costrette da decine di quarantene a tenersi i bimbi a casa, con tutte le difficoltà lavorative conseguenti.
Ad oggi Draghi e il suo fido ministro continuano a parlare ad un mondo che dimostrano di non conoscere: quello delle migliaia di famiglie che in queste ore sono nel dramma della quarantena, appese al risultato di un tampone che nella maggior parte dei casi debbono pagare di tasca propria.
A queste famiglie e ai milioni di studenti il governo dei Migliori deve una risposta, democratica e civile, non volgare e arrogante come quella data in una conferenza stampa pilotata, che ha rappresentato uno dei punti istituzionali più bassi della nostra Repubblica, con un uomo solo al comando che in beffa non ai giornalisti, ma agli italiani all’ascolto, ha imposto domande, tempi e risposte, senza fornire rassicurazioni e certezze al popolo italiano.
In queste ore, al di là degli annunci del Salvatore, nelle scuola si sta consumando una vera e propria mattanza e ad essere complice se non artefice è la decisione del governo di non investire sul tracciamento e non fornire dati sui contagi nelle scuole, lasciando presidi, insegnanti e tutta la comunità scolastica appesi al destino di uno starnuto.
La scuola è fondamentale per la nostra democrazia, caro presidente Draghi, ma la democrazia è altrettanto vitale per la scuola dei nostri figli e per quel modello civile e costruttivo sul quale, per dimostrare di crederci, occorre agire con azioni concrete, ascoltando chi nella scuola ci lavora e le famiglie che con fiducia lasciano i propri figli in un luogo che dovrebbe crescerli e proteggerli.
La didattica a distanza ha creato discriminazioni, ha, infine, ricordato il premier Draghi, sempre nella conferenza stampa in stile sovietico. Ma non ha detto che le discriminazioni sono state favorite dalle bieche politiche di tutti i governi che si sono alternati in questi anni, alle quali, purtroppo, anche i Migliori chiamati da super Mario, non si sono sottratti, come dimostra la mattanza di questi giorno coperta dall’omertà sui dati e dalla sottovalutazione di un’emergenza che sta nuovamente piegando le famiglie italiane, lasciate senza aiuti da chi ama farsi le domande e darsi le risposte, sognando il Quirinale.