532 trilioni di dollari di derivati ancora nel sistema. Riforme post crisi non applicate pienamente. Usa in buona salute. Italia più vulnerabile
di Stefano Bruni
Crescita economica globale a rischio, secondo il quarto Business and Finance outlook dell’Ocse.
Tra i rischi finanziari che porterebbero questa conseguenza l’Organizzazione parigina vede anzitutto la graduale “normalizzazione” della politica monetaria, ma anche i persistenti fattori di vulnerabilità del settore finanziario, dove le riforme post-crisi non sono state dell’ampiezza necessaria.
Osservati speciali, dice l’Ocse, sono i “crediti deteriorati” delle banche (quelli che i tecnici chiamano non performing loans e che per i “comuni mortali” sono crediti inesigibili) e il fatto che i mercati si sono abituati al ‘denaro facile’, il che ha portato le obbligazioni, e in una certa misura anche le azioni, ad essere sopravvalutate.
Sotto la lente anche i derivati i cui numeri restano altissimi nonostante tutte le regole (Basilea III) emanate in occasione della crisi degli anni scorsi: secondo uno specifico indice, i derivati ammontavano a 532 trilioni di dollari nella seconda metà del 2017 e a 586 trilioni nella seconda metà del 2007, poco prima dello scoppio della crisi.
Dunque il sistema economico globale ha qualche problema e questi problemi si riverseranno, in modo diversificato, sui vari Stati. Ognuno infatti si presenterà più o meno preparato ad attutire i colpi che arrivano “dall’esterno”.
Certamente, si legge nel rapporto, “gli Usa saranno sufficientemente preparati: c’e’ un’economia abbastanza forte, un sistema bancario abbastanza redditizio e una ricostituzione del capitale sufficientemente avanzata” da poter tener testa ad eventuali momenti di difficoltà.
Per tutti gli altri, invece, sarà da vedere, per esempio, se le banche e le altre istituzioni finanziarie saranno pronte a fare i conti con il venire meno dell’ampia immissione di liquidità offerta dal Quantitative easing (Qe).
In Italia, molto probabilmente, come ha detto il Ministro Tria su Repubblica, la fine del Qe si sentirà un po’ di più per via di una crescita inferiore rispetto agli altri.
In effetti, proprio l’Ocse, pochi giorni fa, aveva evidenziato che “l’Italia è l’unico Paese del G7 che nel secondo trimestre dell’anno ha registrato un rallentamento della crescita”.
Nel secondo trimestre dell’anno – diceva l’organizzazione internazionale parigina – “il pil nell’area dell’Ocse è cresciuto dello 0,6%, in lieve miglioramento rispetto al +0,5% registrato nel trimestre precedente, mentre rispetto al secondo trimestre del 2017 ha rallentato a +2,5% (contro +2,6% nel trimestre precedente). Nei paesi del G7 la crescita del pil ha fortemente accelerato negli Usa a +1% (contro +0,5% nel primo trimestre) e in Giappone +0,5% dopo -0,2% nei primi tre mesi del 2018. In Germania il pil ha registrato una crescita dello 0,5% (+0,4% nel primo trimestre), nel Regno Unito dello 0,4% (+0,2% nel primo). In Francia la crescita è rimasta stabile allo 0,2% mentre in Italia ha rallentato a +0,2% contro +0,3% nei primi tre mesi dell’anno.
Fuori dal G7, a destare preoccupazione è la Cina. L’importante espansione del credito fornito alle aziende di proprietà statale a partire dal 2009 ha fatto si che i bilanci delle banche cinesi raggiungessero 39,3 trilioni di dollari nel 2017, pari al 310% del Pil. Lo shadow banking e il risparmio gestito generano poi un altro 63% del Pil all’esposizione. Considerando poi anche gli impegni ‘fuori bilancio’, gli asset delle banche cinesi toccano il 387% del Pil contro il 200% circa del 2008. Alcuni ulteriori dati sui crediti deteriorati poi sono sconosciuti per via della mancanza di trasparenza del sistema.
E anche se il sistema finanziario cinese è chiuso (nel senso che non è direttamente legato ai rischi delle economie avanzate) le autorità di Pechino potrebbero decidere di ridurre gli investimenti in titoli Usa, aumentando così le pressioni sulla liquidità nei Paesi avanzati.
Nell’insieme, dunque, gli squilibri del mercato del reddito fisso sono problematici, dice l’Ocse. E il verificarsi di queste “problematiche” congiuntamente porterebbe il “sistema globale” a dover affrontare nuovi momenti di difficoltà che sarebbe opportuno mettere in conto e prevenire, per quanto possibile.