Intanto, il Ddl Richetti arranca in Commissione. Le situazioni pensionistiche per tutti gli altri
Articolo di S.B.
Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata, avrebbe detto Tito Livio. Già perché mentre il disegno di legge Richetti recante “Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali”, è in discussione in Commissione affari costituzionali al Senato della Repubblica, da oggi, 15 settembre, scatta il vitalizio per 608 parlamentari.
Da oggi cioè coloro che non saranno rieletti avranno diritto, a partire dal compimento del 65esimo anno di età, ad una pensione di circa 1000 euro. Qualora invece fossero rieletti, potranno passare all’incasso già a 60 anni.
Alcuni parlamentari contestano la terminologia: ”non è un vitalizio, ma una pensione calcolata con il sistema contributivo, che viene maturata dopo 4 anni e sei mesi di legislatura e riguarda tutti i deputati e senatori neoeletti nell’attuale legislatura”, ovvero 2 parlamentari su 3, pentastellati inclusi. Ma il movimento cinque stelle non ci sta e preannuncia battaglia sul tema che è sempre stato uno dei loro punti di forza in campagna elettorale.
Nel frattempo, il ddl Richetti incardinato in commissione Affari Costituzionali arranca e il relatore – il centrista Salvatore Torrisi – ha già manifestato alcune perplessità evocando il rischio dell’incostituzionalità. Martedì 19 settembre partirà il ciclo di audizione e sebbene la maggioranza ha assicurato che il testo andrà avanti, tra legge di bilancio e ius soli, il rischio che si impantani resta concreto.
Fuori dal Parlamento, i lavoratori, soprattutto i più giovani, fanno i conti per capire che ne sarà del loro futuro e di quello delle loro famiglie. “Quando potrò andare in pensione?” “Su quale importo mensile potrò contare?”. E le risposte a queste domande sono più o meno, seppur con alcuni distinguo, uguali per tutti.
In linea generale nel 2017, per il pensionamento di vecchiaia occorrono almeno 66 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi (65 anni e 7 mesi le lavoratrici dipendenti del settore privato e 66 anni ed 1 mese le autonome e le iscritte alla gestione separata). Per la pensione anticipata occorrono, invece, 41 anni e 10 mesi di contributi (42 anni e 10 mesi per gli uomini) a prescindere dall’età anagrafica. L’ordinamento si scosta da questi valori, come si diceva, solo per tutelare particolari specificità connesse alla tipologia di lavoro svolto o alla condizione del lavoratore (lavori usuranti ed altre particolari categorie di lavoratori).
Quest’anno inoltre c’è da segnalare la possibilità di ritirarsi a 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica per alcune categorie di lavoratori cosiddetti “precoci” (cioè coloro che hanno svolto almeno 12 mesi di lavoro prima del 19° anno di età) e di richiedere l’APE (cioè l’anticipo pensionistico) che, nelle sue varie forme, consentirà ai lavoratori che hanno raggiunto il63° annodi lasciare in anticipo in attesa di raggiungere la pensione di vecchiaia.
L’APE, tuttavia, non è una pensione ma un reddito ponte erogato dallo Stato (APE sociale) o dal settore bancario (APE volontario) in quest’ultimo caso sotto forma di prestito da restituire per 20 anni una volta agguantata la pensione.
A queste situazioni, si aggiunge la cosiddetta opzione donna: un anticipo significativo dell’età pensionabile per le lavoratrici che hanno raggiunto 57 anni (58 anni le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31.12.2015. Costoro potranno chiedere l’uscita anticipata a condizione di optare per la liquidazione della pensione con le regole di calcolo contributive, maggiormente penalizzanti.
Quanto agli importi delle pensioni oggi in Italia, il tasso di sostituzione, che misura quanto si riceve dalla pensione in rapporto all’ultima retribuzione, è intorno al 70%. Entro il 2060, la Ragioneria Generale dello Stato stima che il tasso di sostituzione possa ridursi progressivamente di almeno 12 punti percentuali. Le simulazioni suggeriscono che se i nati dopo il 1990 mettessero da parte ogni anno circa il 6% dei loro guadagni, riuscirebbero a colmare la metà del divario nel tasso di sostituzione economica rispetto ai pensionati di oggi. Per chiudere il gap, occorreranno ulteriori cinque anni di lavoro, spingendo così i requisiti per la pensione di vecchiaia oltre la soglia dei 70 anni.
E per fortuna che gli italiani sono, in genere, più formiche che cicale……..