Tra declassamenti e rating, che interessano ormai costantemente l’Italia, c’è di più. Quel che conta è non scendere sotto la soglia dell’investment grade, ovvero il livello minimo che le agenzie attribuiscono a un’economia affinché gli investitori si sentano sicuri delle loro operazioni. L’analisi economica di LabParlamento.
Le agenzie di rating, da qualche anno, sono entrate a pieno titolo nel vocabolario comune. Tirate spesso in ballo, sovente senza troppa cognizione di causa (un po’ come avveniva e avviene con lo spread), oscillano dall’essere le madri di tutti i mali al divenire artefici di rimedi prodigiosi, il tutto grazie o a causa dei loro giudizi con tanto di segno più o meno a fianco delle lettera di valutazione.
Un qualcosa di scolastica memoria che potrebbe ricordare le pagelle delle elementari di qualche decennio fa ma che, ovviamente, tradisce ben altro rispetto al semplice giudizio.
L’Italia non prende il massimo dei voti da ormai 25 anni e nell’ultimo lustro staziona nella mediocrità dei giudizi appena accettabili.
Tornando al paragone scolastico il Belpaese è il classico studente “che ha le capacità ma non si applica” e si accontenta di una risicata sufficienza.
Niente di così nuovo verrebbe da dire e, anche se in tutte le ultime valutazioni abbiamo collezionato per lo più declassamenti, la cosa parrebbe non aver impensierito troppo i vari governi che si sono succeduti.
Quel che conta è non scendere sotto la soglia dell’investment grade, ovvero il livello minimo che le agenzie attribuiscono a un’economia affinché gli investitori si sentano sicuri delle loro operazioni. Il punto è che siamo a un passo dal varcare questa soglia che potrebbe avere come epigrafe – non ne voglia il Sommo – “lasciate ogni speranza o voi che entrate”.
Non è un caso che nell’ultima valutazione l’agenzia Fitch abbia mantenuto il rating invariato a tripla B spostando però l’outlook da ‘stabile’ a ‘negativo’. Come delle maestre severe ma giusta anche le agenzie di rating ci pensano a lungo prima di ‘bocciare’ un Paese anche perché un downgrade sotto il livello di sub-investement vorrebbe dire costringere molti investitori esteri a lasciare il tavolo da gioco – sia perché spesso i regolamenti interni obbligano ad avere in portafoglio soltanto obbligazioni con un rating in terreno positivo – sia perché, molto più prosaicamente, non avrebbero garanzie di ritorno sui loro crediti.
Ma c’è di più, neanche la Bce potrebbe più intervenire in soccorso dei titoli italiani, essendo a sua volta vincolata al giudizio del rating.
E’ talmente chiaro dall’essere cristallino che si tratta di uno scenario nefasto da scongiurare: se è pur vero che l’acquisto sistematico dei titoli di stato della Banca Centrale non può essere una misura strutturale, è anche vero che farne a meno renderebbe il futuro economico ancora più fosco.
Eppure le nubi all’orizzonte si infittiscono e si avvicinano sempre di più, tant’è che grandi eminenze grigie del mondo finanziario hanno cominciato a fare qualche passo – felpato ça va sans dire – indietro.
E’ il caso di BlackRock, primo asset manager al mondo ma anche primo investitore istituzionale estero a Piazza Affari.
I conti li ha fatti IlSole24 Ore, elaborando i dati di S&P Market Intelligence. Secondo le rilevazioni, il colosso statunitense avrebbe deciso di ridurre la propria esposizione alla Borsa di Milano del 10 per cento. La percentuale che non fa impallidire ma il suo controvalore economico sì: si parla infatti di una riduzione di 1,2miliardi di euro rispetto al 2018.
Piazza Affari si è già svalutata di suo, di circa il 7% nell’ultimo anno e questo ha senz’altro contribuito alla diminuzione dell’esposizione di BlackRock ma la società ha poi ha limato le sue posizioni su quasi tutte le quotate in Ftse Mib, da Enel a Fineco, solo per fare qualche nome.
A onor di cronaca va osservato che altri nomi noti della finanza come Jp Morgan o il fondo Elliott hanno intrapreso la decisione opposta, approfittando delle svalutazioni di Piazza Affari per fare acquisti e riequilibrando, solo in parte, la questione.
Ma la decisione di BlackRock – che ad esempio dalla Borsa di Parigi non si è mossa di un millimetro – ha fatto anche proseliti su altre grandi società al punto dal diventare un segnale preoccupante che andrebbe colto.
Quasi a pensare che dietro quei voti delle agenzie di rating ci sia molto ma molto di più.