È stato presentato nei giorni scorsi un nuovo studio da parte dell’Organo di vigilanza sulla Parità di accesso alla rete di TIM (OdV), realizzato in collaborazione con Cullen International e l’Istituto Bruno Leoni, e relativo ai diversi modelli di separazione della rete di accesso e i relativi criteri di equivalence di diversi paesi mondiali, con l’obiettivo di fornire un benchmark internazionale aggiornato.
Oltre all’Italia lo studio prende in esame Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda, Islanda, Regno Unito, Polonia, Svezia, Australia e Nuova Zelanda. Un focus a parte sulla regolamentazione dell’accesso wholesale broadband è dedicato a Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.
Gli unici casi di separazione strutturale proprietaria si riscontrano in Australia e Nuova Zelanda. Lo studio dell’Istituto Bruno Leoni evidenzia tra i principali elementi non positivi dell’esperienza australiana gli eccessivi tempi e costi di copertura e il livello elevato dei prezzi wholesale. Il giudizio appare più sfumato per il caso neozelandese che comunque ha comportato una significativa perdita di valore del titolo di Chorus nel tempo.
Negli altri Paesi la concorrenza si è sviluppata e si svolge in un contesto di integrazione verticale dell’operatore storico che, oltre a controllare la rete di accesso, compete nei mercati a valle con gli altri operatori, i quali spesso sviluppano le proprie reti di accesso nelle aree più remunerative. Per assicurare la parità di trattamento, sono stati elaborati diversi modelli di separazione della rete con molteplici strumenti regolatori.
Alla luce dei benchmark effettuati, il modello di separazione adottato da TIM risulta una best practice europea e internazionale e offre, oggettivamente, maggiori garanzie di parità di accesso del modello inglese di BT/Openreach che è posseduta al 100% da BT e non offre opportunità di co-investimento. TIM, invece, nel 2021, ha lanciato il più grande progetto europeo di co-investimento «aperto» che consente a tutti gli operatori interessati di partecipare alla realizzazione del piano in fibra di FiberCop per accelerare la chiusura del digital divide, grazie a connessioni FTTH che raggiungeranno il 75% circa delle unità immobiliari nelle aree grigie e nere del Paese entro il 2025.
Altri Paesi che hanno attuato la separazione legale sono la Repubblica Ceca, la Danimarca, l’Islanda e il Regno Unito, mentre la Svezia ha attuato volontariamente la separazione legale nel decennio 2007 – 2017.
L’analisi dedica, inoltre, particolare attenzione agli strumenti con cui viene garantita l’equivalence dei servizi di accesso alla rete (Equivalence of Input o Equivalence of Output o entrambi in funzione degli specifici servizi wholesale).
La presenza di un Organo di vigilanza, interno e indipendente, che monitora la parità di accesso alla rete dell’operatore integrato si riscontra inoltre in quattro dei dieci Paesi analizzati (Italia, Islanda, Irlanda e Regno Unito). La diffusione di tale organismo di controllo è stata recepita anche nel Codice europeo delle comunicazioni elettroniche.
L’analisi completa è disponibile sul sito Internet dell’Organo di vigilanza.