I dati dell’Istituto della previdenza sociale: nel 2018 il numero delle prestazioni era maggiore dello 0,1% e il corrispondente importo complessivo annuo era inferiore del 2,2%. Possibile una rivalutazione delle pensioni in Legge di bilancio, ma si tratta di pochi euro
5,8 milioni di pensionati avevano nel 2018 redditi da pensione inferiori o pari a 1.000 euro al mese. 285.445 coloro che hanno invece redditi superiori a 5.000 euro al mese. Ecco l’Italia dei pensionati fotografata dall’Osservatorio Inps.
La spesa totale per assicurare la pensione a 16.004.503 di ex lavoratori ha raggiunto i 293,3 miliardi.
Il 36,3% dei pensionati con i redditi più bassi assorbe 40,2 miliardi mentre coloro che hanno redditi più alti (l’1,8% del totale) “costano” 23,3 miliardi.
I dati dell’anno precedente (2017) dicevano però altro: il numero delle prestazioni era maggiore dello 0,1% e il corrispondente importo complessivo annuo era inferiore del 2,2%.
La maggioranza dei percettori di pensione è donna (sono il 52,2%), ma sono gli uomini che percepiscono il 55,9% dei redditi pensionistici: l’importo medio dei trattamenti percepiti dalle donne è infatti inferiore rispetto a quello degli uomini del 28% (15.474 contro 21.450 euro).
Questa situazione è conseguenza di un livello degli stipendi più basso per le donne, rispetto agli uomini, nel corso della vita lavorativa.
Nell’anno in corso, invece, sono state 373.338 le pensioni liquidate dall’Inps con un crollo delle uscite per vecchiaia (63.926 a fronte delle 141.861 dell’intero 2018). La contrazione è conseguente all’innalzamento di cinque mesi (per aumento dell’aspettativa di vita )dei requistiti richiesti nel 2019 per accedere alla pensione di vecchiaia.
Questo aumento insieme all’adeguamento nel 2018 delle età delle donne a quella degli uomini per l’accesso alla pensione e probabilmente anche l’introduzione di Quota 100 ha fatto sì che crescessero invece in percentuale le pensioni anticipate (148.732 rispetto alle 151.881 dell’intero 2018).
L’osservatorio Inps ha anche segnalato che quasi 64.000 pensioni (63.926 per la precisione) sono state liquidate con l’età di vecchiaia (-26,3% rispetto allo stesso periodo del 2018), 148.732 sono state pensioni anticipate (quindi con 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne oltre a tre mesi di finestra mobile così come previsto dal Decretone) mentre ci sono state 29.574 pensioni di invalidità e 131.106 pensioni ai superstiti.
L’importo medio delle prestazioni è stato di 1.384 euro per i lavoratori dipendenti (ma varia molto dai 2.081 delle pensioni anticipate ai 747 euro per le invalidità passando per i 1.158 per le pensioni di vecchiaia) e di 676 euro per i coltivatori diretti (1.472 euro nel caso di pensioni erogate grazie all’anzianità contributiva).
Per gli artigiani invece la prestazione media è di 1.049 euro, per i commercianti di 1.090 euro mentre per i parasubordinati è in media di 244 euro al mese.
Nel complesso delle gestioni l’importo medio mensile delle prestazioni erogate è di 1.168 euro. In particolare 738 euro medi sono riconosciuti per le pensioni di vecchiaia, 1.861 per le pensioni anticipate, 723 per quelle di invalidità e 691 per le pensioni ai superstiti.
Il basso livello medio delle pensioni italiane è stato anche al centro del tavolo di confronto tra il Governo e i sindacati di poche settimane fa. Da li era arrivato l’annuncio dell’avvio di una mini-rivalutazione delle pensioni per gli assegni da tre a quattro volte il minimo, da 1.500 euro a 2.000 euro. In particolare, il Governo avrebbe aperto a uno sblocco, seppure minimo, dell’indicizzazione delle pensione di circa 2,5 milioni di pensionati.
Il tema è tornato in auge questi giorni a proposito di una serie di anticipazioni relative alla manovra di bilancio 2020. Sembrerebbe dunque essere confermata la rivalutazione delle pensioni mentre nessuna modifica è prevista per quota 100.
L’aumento dell’assegno, a giudicare da alcuni calcoli del sito Pensionioggi.it, sarebbe poco incisivo però. Per esempio, un assegno di 1.600 euro mensili lordi al 31 dicembre 2019, ipotizzando un’inflazione dell’1%, crescerebbe (si fa per dire) fino a raggiungere 1.616 euro. Lasciando invariata la normativa attualmente vigente, l’importo che verrebbe riconosciuto sarebbe pari a 1.615,52 euro. Parliamo di ben 48 centesimi (lordi) in più al mese, poco più di 6 euro (sempre lordi) l’anno in più……