La disfatta del 4 marzo impone al partito di ritrovare la propria identità e prendere posizioni chiare. Sostituire Renzi non basta, è in gioco il futuro
Quali che siano le decisioni che prenderà nelle prossime settimane in merito ai primi passi della nuova Legislatura, per il Partito Democratico la sera del 4 marzo è iniziata una lunga ‘traversata del deserto’ dalla quale non si sa se e come uscirà.
È bene premettere che i circa 2,5 milioni di voti persi dal Pd rispetto alle Politiche del 2013 non possono essere motivati unicamente con la parabola discendente di Matteo Renzi, le cui esperienze alla guida del Nazareno e di Palazzo Chigi hanno senz’altro diviso ambienti ed elettori storicamente vicini al centrosinistra, finendo per perderne il sostegno. Senza alcun dubbio, non saranno le sue dimissioni dalla carica di Segretario né l’arrivo di nuovi dirigenti a salvare i dem da un processo in atto in quasi tutta Europa: la crisi dei partiti socialdemocratici e progressisti, visti sempre di più dalle classi popolari come organizzazioni al servizio dei ‘garantiti’ e lontani dalle esigenze degli emarginati.
Uno degli errori cruciali commessi dal Partito Democratico nella stagione politica che stiamo vivendo è non aver capito che, al di là delle stime fornite da Istat e Inps, l’Italia non ha ancora assorbito le ferite sociali causate dalla crisi iniziata nel 2008. Malgrado le stime economiche indichino che la ripresa è in fase di consolidamento, le disuguaglianze continuano a farsi sentire nel Paese (i dati di Bankitalia dei giorni scorsi sono solo gli ultimi a registrarle), la precarietà e la mancanza di certezze derivante dalle trasformazioni del mondo del lavoro non smettono di interessare i giovani e i ceti medi, per non parlare della sensazione di essere dimenticati dallo Stato provata dagli abitanti di numerose aree periferiche e rurali in primis del Sud, su cui talvolta si è innestata l’insicurezza determinata dal fenomeno dell’immigrazione.
Di fronte a questo elenco, certamente parziale, di inquietudini comuni a milioni di cittadini, il Pd recentemente ha saputo sfoggiare solo un ottimismo a oltranza e una scarsa disponibilità all’ascolto di chi si sente escluso, cui in campagna elettorale si è aggiunta la presunzione che bastasse non inseguire gli avversari sul terreno delle promesse per recuperare i voti di delusi e indecisi.
Dopo il precedente delle Amministrative 2016, non può essere un caso riscontrare che i dem ottengono i loro migliori risultati nelle grandi città del Centro-Nord, e in particolar modo nei quartieri più agiati di quelle metropoli, come se si fossero trasformati nel ‘partito delle élite’. Un aspetto, quest’ultimo, paradossale per la formazione erede delle due grandi tradizioni interclassiste del Novecento: la cultura cattolico-democratica e l’esperienza comunista.
Arrivati a questo punto, per il Partito Democratico la maniera più sicura per risalire dal 18,7% di consensi fatto registrare dieci giorni fa è quella di prendere una posizione chiara sulle sfide principali del nostro tempo, decidendo quali interessi tutelare in via prioritaria. Solo per fare alcuni esempi, per la principale forza della sinistra italiana è irrinunciabile riconsiderare gli effetti che la competizione globale, le trasformazioni tecnologiche e le realtà della sharing economy stanno avendo sulla condizione dei lavoratori, così come appare ineludibile il percorso verso una nuova ‘connessione sentimentale’ con le periferie e con i contesti più difficili sul piano produttivo, ambientale e della convivenza, senza dimenticare la necessità di offrire risposte chiare a una società che invecchia ogni anno di più e nella quale i giovani del futuro avranno sulle loro spalle il peso del combinato disposto tra debito pubblico e sostenibilità del welfare.
In altri termini, per il Pd ciò che conterà più di ogni altra cosa da ora in avanti sarà ritrovare l’identità e il pensiero troppo spesso confusi, negli ultimi anni, dagli inevitabili compromessi dell’azione di governo. Raggiungere quest’obiettivo avrebbe un’importanza decisamente maggiore della scelta dell’erede di Renzi e dell’eventuale sostegno a formule per dare un Esecutivo al Paese, perché ciò definirà il ruolo del partito nella Terza Repubblica appena iniziata.