Il sistema pensionistico per i militari “ancora regge e reggerà grazie al fondo perequativo, ma credo che i primi problemi li potremmo avere dopo il 2030 se il fondo perequativo non sarà rifinanziato”. Così in un’intervista a LabParlamento, Antonio Tarallo, delegato Cocer carabinieri e segretario generale dell’Unione sindacale italiana carabinieri (Usic).
Ha sentito parlare del Fondo Pre.Si.Di. Cosa ne pensa?
“Sì, ne ho sentito parlare e ho cercato di approfondirne i contenuti. Ma al momento sul loro sito si scrive solo di ricorso sul mancato avvio della previdenza complementare e non dei contenuti di questo neonato fondo. Comunque non mi sottraggo alla domanda ed in via preliminare dico: sono contrario alla previdenza complementare e ne posso dimostrare i tragici effetti. Sono ancora più contrario a fondi assicurativi privati che sicuramente non potranno avvalersi neanche del contributo dello Stato”.
Allora a cosa servono?
“A mio modesto parere sono utili solo a chi li propone, allo Stato ma non a chi contribuisce”.
Mi faccia un esempio per dimostrare la sua tesi?
“Un carabiniere neo assunto nel 2022 che andrà in pensione nel 2059 con il grado di Appuntato Scelto qs, percepirà una pensione di circa il 67% dell’ultimo stipendio, nonché un trattamento di fine servizio di circa 140.000 netti da percepire secondo le attuali norme o se vogliamo azzardare una rendita mensile netta, si aggira intorno ai 570 euro netti. Se questo carabiniere oggi avvia una previdenza complementare con passaggio obbligatorio da TFS a TFR, gli sarà riconosciuto complessivamente un Trattamento di Fine Rapporto comprensivo di tutto di circa 95.000 netti, con una rendita mensile intorno ai 390 euro netti ma non percepirà nessuna buonuscita. Come vede, la differenza è sostanziale. Ma mi faccia fare un’altra riflessione per inquadrare meglio la situazione. La legge Dini del 1995 ha sostanzialmente eliminato tutti i vantaggi pensionistici ad eccezione del TFS per il Comparto Difesa/Sicurezza. Quindi posso capire lo Stato che cerca di porre rimedio a questo, ma non giustifico gli appartenenti al settore (sindacati militari) che perseguono lo stesso obiettivo dello Stato”.
Da dove deduce queste sue ipotesi?
“Ci sono studi in tal senso fin dagli inizi del 2000 che prima o poi saranno resi pubblici”.
Lei che soluzione propone?
“La soluzione già esiste ed è il finanziamento nell’ultima Legge di Bilancio (richiesto fortemente dal Co.Ce.R. e se mi posso permettere dal sottoscritto) per la creazione di un Fondo Perequativo al fine di aumentare quel 67% di cui abbiamo parlato ed attraverso lo stesso finanziare il ddl Pinotti già presentato in Senato, che sostanzialmente riconosce il coefficiente di trasformazione dei 67 anni al Comparto il cui limite ordinamentale per i contrattualizzati è di 60 anni. Ritengo che si debba investire in questo e magari richiedere allo Stato di aggiungere nel futuro ulteriori risorse. In questo modo non si chiede al personale in divisa di dover finanziare la pensione con le proprie risorse economiche”.
Ma solo questo basterà?
“Sicuramente no! O meglio al momento il sistema ancora regge e reggerà grazie al fondo perequativo, ma credo che i primi problemi li potremmo avere dopo il 2030 se il fondo perequativo non sarà rifinanziato. Ecco perché ai giovani, piuttosto che la previdenza complementare, che come dimostrato non porta vantaggi, suggerisco di investire nella previdenza integrativa che ritengo sia uno dei pochi utili sistemi di investimento per il futuro pensionistico”.