Con lo scoppio della guerra in Ucraina, l’assetto internazionale che abbiamo conosciuto dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, sembra giunto ad una svolta o, più precisamente, a uno dei tornanti della storia, quelli che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. E nel nuovo quadro che va a configurarsi, l’Italia potrebbe ritagliarsi dopo parecchi anni di anonimato, un ruolo geopolitico di una nuova e decisiva importanza, simile a quello avuto durante la Guerra Fredda, in cui la nostra Penisola era forse la nazione più importante per definire gli equilibri mondiali, una vera e propria frontiera di divisione tra i due blocchi al centro del Mediterraneo.
Tra il 1945 e il 1989, infatti, il nostro territorio fu teatro di trame e contese tra servizi interni ed esteri di Est e Ovest e di operazioni di spionaggio e controspionaggio che videro protagonisti la Cia, il Kgb e, oltre a Sid e Sifar divenuti poi Sisde e Sismi, anche Gladio, il Noto Servizio detto l’Anello e tutta una serie di organismi coperti, che sono stati catalogati dalla letteratura storicistica di ispirazione comunista come facenti parte dei servizi deviati, mentre probabilmente rientravano semplicemente nei patti della Conferenza di Yalta, ossia negli accordi tra le potenze vincitrici della II Guerra Mondiale che avevano diviso il mondo in due sfere d’influenza, nelle quali operavano organizzazioni interne ma coordinate dai servizi segreti dei Paesi guida, Usa e Urss, per evitare che forze interne filo-sovietiche o filo-occidentali facessero scivolare il Paese in questione nella sfera d’influenza del blocco avversario. In questo senso va riletto e ristudiato, anche alla luce dei documenti desegretati dall’ultima commissione parlamentare d’inchiesta, il caso Moro.
L’incapacità dell’Amministrazione Biden di impedire l’invasione russa dell’Ucraina con una trattativa preventiva o con la deterrenza militare, schierando le forze Nato a difesa dei suoi confini, sta spingendo l’autocrazia putiniana verso un’alleanza organica ma subalterna con la Cina, che non ha mai nascosto le proprie mire espansionistiche su tutta l’Asia e soprattutto su Taiwan, primo produttore mondiale di microchip per computer, smartphone e apparecchi tecnologici, oggi determinanti per il controllo della cybersecurity.
Pertanto, nel nuovo assetto geopolitico che si va definendo, l’Italia potrebbe ritrovare un ruolo decisivo simile a quello ricoperto nella seconda metà del XX secolo. Tuttavia, gli ostacoli da superare non sono pochi e riguardano l’esigenza di schierarsi senza ambiguità con il fronte occidentali liberaldemocratico, tralasciando tentazioni asiatiche come la Via della Seta e altri cavalli di Troia similari, che dietro il velo di apparenti accordi commerciali, puntano a ottenere il dominio cinese delle infrastrutture strategiche nazionali.
Contestualmente, i prossimi Governi dovranno riconquistare una sfera d’influenza geopolitica e commerciale in nord Africa, ruolo storico che nell’ultimo decennio è stato perso a vantaggio della Turchia e della Francia.
Infatti, con la fine del IV esecutivo guidato da Silvio Berlusconi e con la caduta di Gheddafi nel 2011, la politica estera ed energetica italiana ha subito un duro colpo e un netto ridimensionamento a vantaggio delle Potenze tradizionalmente nostre competitrici nel bacino del Mediterraneo.
Una condizione necessaria alla riscoperta di una nuova centralità geopolitica dell’Italia, risiede nella volontà e nella capacità dell’Amministrazione americana di sostenere questo ruolo e nel riconsiderare il Mediterraneo un’area decisiva e determinante per spostare gli equilibri tra i due blocchi.
Tuttavia, rispetto alla prima Guerra Fredda la Cina è decisamente più potente economicamente dell’Urss, che era un impero minato alla radice da un sistema economico insostenibile e incapace di competere con il dinamismo statunitense.
Oggi il Dragone detiene il controllo della stragrande maggioranza degli Stati africani, di cui sfrutta le materie prime e le terre mediante la corruzione e il finanziamento di dittatori e capi di Stato, e persegue un dirigismo economico-politico improntato su un capitalismo di Stato che detiene da anni quote ingenti del debito pubblico americano.
Ciò rende complesso per gli USA alzare il livello dello scontro e l’alleanza cinese con la Russia, che al momento sembra inevitabile, rafforza militarmente lo schieramento autocratico asiatico. Dunque, sembra che le due aree decisive per la prevalenza di uno dei due blocchi geopolitici siano il Mediterraneo in Europa meridionale e soprattutto il Sud Est asiatico, in cui gli Stati Uniti sono da anni impegnati nel cementificare una coalizione anticinese formata da Giappone, Corea del Sud, India e Australia.
Un altro aspetto fondamentale che potrebbe dare un forte vantaggio al blocco liberaldemocratico è la politica avviata dall’Amministrazione Trump del reshorig, ossia degli incentivi fiscali al rientro e al ristabilimento all’interno dei confini nazionali della produzione industriale in comparti produttivi strategici per infliggere un duro colpo all’economia cinese che, dal suo ingresso nel WTO tra il 1999 e il 2001, ha visto aumentare ulteriormente il boom economico iniziato negli anni ’80 con la svolta capitalista di Deng Xiaoping, divenendo la base produttiva a basso costo dell’industria occidentale.
In conclusione, avrà un’importanza strategica anche la ridefinizione e rinegoziazione dei parametri di Maastrichtche hanno bloccato lo sviluppo dell’economia nazionale in assurdi vincoli di austerità di ispirazione tedesca, per poter aumentare finalmente le spese militari ad almeno il 2% del PIL, in vista della nuova Guerra Fredda incipiente.