Italia prima in Europa per tasso di “NEET”. Il nodo dei contratti atipici. Indagine Cesde
di Valentina Magri
Primi in Europa. Sono i giovani italiani tra i 15 e i 24 anni. Peccato che il loro primato sia tutt’altro che lusinghiero: hanno il record del tasso di NEET (Not in Employment, Education or Training), ossia i giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione, pari ormai a 1 su 5. Lo attesta l’indagine 2017 sull’occupazione e gli sviluppi sociali in Europa (Cesde), pubblicata dalla Commissione europea. Numerose sono le cause di questo problema.
Innanzitutto, un mercato del lavoro che non funziona.
Da un lato, la crescita latita e l’incertezza prospera, per cui le imprese sono restie ad assumere, come ci ha spiegato su queste colonne il professor Francesco Pastore. Servirebbe un maggiore impegno del Governo nel rilancio dei centri per l’impiego, nell’alternanza scuola lavoro e nell’apprendistato, oltre che più in generale nella promozione della crescita economica, magari in coordinamento con l’Europa.
Dall’altro, chi trova lavoro corre un maggiore rischio di precarietà: in più del 15% dei casi ha contratti atipici. Una situazione che porta facilmente a perdere il posto di lavoro e/o a scoraggiarsi sulla possibilità di trovarne uno migliore.
Un’altra concausa è il sistema educativo italiano, di tipo sequenziale: prima si concludono gli studi, poi si cerca lavoro. I progetti di alternanza scuola lavoro esistono, ma non sono ancora molto diffusi. E così accade che le imprese si lamentino della mancanza di competenze dei giovani, ben formati su conoscenze teoriche e sulla cultura generale ma deficitari nelle competenze professionali. Per lo stesso motivo, sono numerosi i posti di lavoro vacanti per cui le aziende non trovano candidati adeguati. Già nel 2016 il 26% dei profili era considerato di difficile reperimento e nei prossimi tre mesi si prevede che per il 38,8% delle possibili assunzioni rimarranno vuoti, a causa della inadeguata formazione e qualificazione dei candidati (20,8%) e del ridotto numero dei candidati stessi (18%), affermato recentemente Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione.
Un’ulteriore testimonianza del mismatch tra competenze dei giovani e competenze ricercate dalle imprese è l’overeducation, ovvero l’eccesso di istruzione dei nostri giovani rispetto a quanto richiesto dalle aziende. Uno spreco di competenze, tempo e denaro che non possiamo più permetterci.