Dopo 11 lunghi giorni di ennesimo conflitto armato con Israele, emergono chiaramente le motivazioni che spingono l’organizzazione terroristica allo scontro con lo Stato ebraico. La logica non è quella di raggiungere la pace, magari provando ad immaginare una soluzione a due Stati. L’obiettivo è solo quello di tenere sempre alta la tensione in chiave antisionista, anche attraverso la jihad, per ottenere i consensi di larghe fette di popolazione arabo-palestinese in vista delle elezioni. Un obiettivo supportato da Paesi che vogliono la distruzione di Israele, tra questi Iran, Turchia, Siria e l’Hezbollah libanese.
Come sempre, anche in questo confronto armato, Hamas ha usato la popolazione di Gaza come scudo umano, e non solo metaforicamente. È un fatto, negato solo da chi ideologicamente si schiera a priori con i palestinesi arrivando a supportare un’organizzazione terroristica che, comunque, non gode di tutta la popolarità raccontata dalla propaganda di Hamas e da alcuni media internazionali. Nei villaggi in cui ebrei e palestinesi convivono, i terroristi hanno alimentato gli scontri e dopo il cessate il fuoco, proprio in questi territori “misti”, ebrei e arabi si sono uniti in proteste contro Hamas.
Di contro, venerdì gli agenti del gruppo terroristico hanno espulso dalla moschea al-Aqsa il Mufti di Gerusalemme, lo sceicco Muhammad Hussein, vicino al presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, accussato di esprimersi in “maniera moderata”. Mentre a Gaza, i palestinesi vivono costretti dai leader di Hamas (questi sì ben protetti nei tunnel a scapito dei civili), indottrinati all’odio contro Israele, destinati a rimanere nel disagio e spesso nella povertà, mentre miliardi di aiuti che arrivano dalle organizzazioni e dai governi mondiali, vanno a ingrassare le tasche del gruppo per alimentare lo scontro con Israele.
Il welfare di Hamas si basa, prevalentemente, sulle elargizioni di denaro alle famiglie dei miliziani e di quelle dei “martiri”. Così, in una spirale di odio e violenza, crescono i bambini palestinesi a cui non è concesso conoscere altro che un destino come carne da macello a buon prezzo. Tutto questo è Hamas e quelle organizzazioni, come la Jihad islamica, che tengono sotto scacco un’intera popolazione alimentando un conflitto decennale senza margini di vittoria.
Gli Stati Uniti di Joe Biden affrontano il problema apparentemente in modo diverso da Donald Trump. Nei fatti, però, il nuovo presidente americano ha chiaramente detto che Israele ha il diritto di difendersi e, nonostante i tentativi di boicottaggio arrivati da una frangia interna del Partito democratico guidata dal senatore Bernie Sanders, la vendita di armi ad Israele per 735 milioni di dollari non verrà bloccata.
Il segretario di stato Usa, Antony Blinken, arriverà in Israele mercoledì e parlerà con il premier Benyamin Netanyahu. Il giorno dopo, invece, a Ramallah incontrerà il presidente Abu Mazen. L’obiettivo è neutralizzare Hamas o almeno ridimensionarlo. Nei giorni di guerra con Israele, l’organizzazione ha lanciato quasi 5.000 razzi contro città e villaggi ebrei. Un arsenale fornito dall’Iran. Ma al netto di quello che pensano i simpatizzanti di Teheran e di Hamas, i palestinesi non hanno bisogno di terroristi, siano essi organizzazioni o Stati, ma di stabilizzazione economica e di un processo di crescita nel campo dell’istruzione e del sistema sanitario.
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