Il Parlamento prova a introdurre una regolamentazione del web, tra sanzioni ed educazione civica digitale. Ma strada in salita
Più si avvicina la campagna elettorale, che mai come stavolta sarà caratterizzata dalla propaganda su internet a suon di fact checking, infografiche e titoloni clamorosi, e più il Parlamento si muove nella direzione della regolamentazione del web e dei contenuti potenzialmente esplosivi.
Proprio ieri a Montecitorio è stata organizzata l’iniziativa “#Bastabufale Impegni concreti”, con l’intento di lanciare l’anno prossimo un grande progetto di educazione civica digitale che coinvolga Camera dei Deputati e Ministero dell’Istruzione, le aziende, i social media, rivolto al mondo della scuola. La presidente, Laura Boldrini, ha dichiarato che la Commissione Internet della Camera avvierà presto un’indagine conoscitiva sulle fake-news, come nascono e come vengono diffuse (ricordiamo che la Commissione Internet è stata avviata nel 2014, e ha già prodotto una Carta dei diritti e dei doveri di internet, una Carta costituzionale digitale sulla quale è stata aperta la consultazione pubblica).
E dopo varie proposte indirizzate verso un maggiore monitoraggio delle fake-news, la Commissione Lavori Pubblici del Senato si accinge ad esaminare il disegno di legge a firma Battista, Orellana e Panizza (ne avevamo parlato già parlato qui) che prevede una delega al Governo per la tracciabilità dell’identità dell’utente che commette reati tramite internet, una frontiera, questa, sempre più d’importanza strategica per la nuova comunicazione telematica che, con sempre maggior successo ed incidenza, ha ormai soppiantato i classici mezzi di comunicazione e di informazione. Non solo.
In caso di approvazione da parte dei due rami del Parlamento (per la verità, calendario alla mano, un passaggio poco probabile) la legge consentirebbe, da una parte, la conservazione dei dati, tramite un sistema di tracciabilità ma, soprattutto, un vero e proprio nuovo regime sanzionatorio che, inevitabilmente, richiederà un’attività di armonizzazione legislativa i cui confini appaiono, ancora, di difficile interpretazione.
Date queste premesse, sempre in caso di via libera, assisteremo, per la prima volta in Italia, ad un panorama di sanzioni per i reati commessi via web potenzialmente più stringente di quello previsto per i reati a mezzo stampa, la cui perseguibilità, di fatto, è di per sé già difficoltosa in base alle numerose interpretazioni giurisprudenziali. Non per questo non è apprezzabile lo sforzo intrapreso vista l’impellente necessità, per certi versi tutta italiana, di regolamentare un campo, quello dei social network in particolar modo pieno di trappole e facili inganni. Ma basterà? Questo è forse l’aspetto più interessante.
La notizia-social è uno strumento che facilmente può essere analizzato e controllato a priori. Abbastanza di frequente – bisogna dirlo – ci si accorge della sua infondatezza in base al profilo che la condivide: a quanti di noi è capitato di essere catturati da un titolo-bomba per poi, pochissimi secondi dopo, comprendere la totale inaffidabilità della fonte? Appare abbastanza scontato che, pur nella necessità di un controllo della proliferazione di questa jungla di fake, ad oggi, un sistema veramente efficiente, saprebbe far fronte anche agli eventuali aspetti penali che scaturiscono da simili comportamenti.
Bisogna ora comprendere se un regime sanzionatorio di fatto parallelo possa essere più o meno efficiente rispetto alle fake-news divulgate mediante altri mezzi, diversi da internet.
In Italia (e non solo) le fake-news esistono ben prima dello sviluppo e della diffusione dei social: un fattore di non trascurabile importanza che comporta, visti i fatti, una discussione sul punto più ampia e meno settoriale.