Dopo la vittoria del No e le dimissioni di Renzi, le forze politiche antepongano l’Italia ai loro interessi
Si è chiusa con la chiara vittoria del No (i risultati definitivi attestano un 59,1% di voti contrari alla riforma della Costituzione, pari a uno scarto di circa sei milioni di consensi ai danni del Sì) e con le annunciate dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio la stagione del referendum costituzionale, evento intorno al quale ha ruotato buona parte della scena politica del 2016.
Vari sono stati i fattori che, combinandosi, hanno portato al successo degli oppositori della proposta di revisione della Carta, ma su tutti ha senza dubbio pesato il valore di plebiscito sul premier che la consultazione aveva assunto da mesi. Commettendo l’errore iniziale di “personalizzare” la contesa, Renzi ha infatti fornito ai propri avversari la miglior carta possibile da giocare al cospetto di un elettorato in cui continua a pesare il disagio per la situazione economica italiana, relegando ai margini il merito del referendum e favorendo una polarizzazione del dibattito tipica delle elezioni Politiche.
L’alta affluenza alle urne (circa il 70% nella Penisola) e l’affermazione del Sì limitata a Toscana, Emilia-Romagna e Alto Adige testimoniano la sconfitta personale del Presidente del Consiglio, al quale non è bastata l’abilità nel condurre le campagne elettorali per avere la meglio sulla convergenza tra le forze politiche (Movimento 5 Stelle e Centrodestra) che, insieme al PD, compongono l’attuale assetto tripolare italiano. La stessa scelta di annunciare le dimissioni a distanza di un’ora dalla chiusura dei seggi restituisce l’idea di una decisione presa da tempo, in modo da rendere subito visibile il legame tra l’esito della consultazione e il suo futuro alla guida del Governo
Quella che si apre adesso è una fase di incertezza, che vedrà il Presidente della Repubblica recitare il ruolo centrale che la Costituzione gli assegna durante le crisi di Governo. Considerate la persistenza della maggioranza che ha sostenuto per 1000 giorni l’Esecutivo uscente e, salvo sviluppi improvvisi, la decisione di Matteo Renzi di rimanere segretario del partito di maggioranza relativa, lo scenario più probabile punta all’incarico di una figura in grado di garantire continuità con il programma dell’ormai ex premier e di offrire garanzie sulla stabilità del Paese. Appare invece difficile la celebrazione di elezioni anticipate, dal momento che in Parlamento pendono rilevanti questioni irrisolte (su tutte, l’approvazione di una nuova legge elettorale almeno per il Senato, senza dimenticare la necessità di concludere a breve l’iter della Legge di Bilancio) e che un appuntamento elettorale nel 2017 si terrebbe pochi mesi prima della scadenza naturale della Legislatura, prevista a inizio 2018.
A prescindere dagli eventi delle prossime ore e dei prossimi giorni, è tuttavia fondamentale che la classe politica ritrovi il senso di responsabilità di cui si è sentita la mancanza per l’intera campagna referendaria. I problemi e le difficoltà che da tempo riguardano l’Italia non sono di certo svaniti, e lanciarsi in una nuova contesa elettorale per soddisfare il desiderio di qualche leader di “passare all’incasso” sarebbe una dimostrazione di mediocrità agli occhi dei cittadini.