La tela di Penelope del premierato sembra non voler mettere un punto fermo. Dopo la prima presentazione in Consiglio dei ministri, risalente ormai a qualche mese fa, sono stati presentati degli emendamenti di modifica rispondenti al principio del simul stabunt simul cadent, legando “la vita” dei Parlamenti a quella del Primo Ministro. Poi però, anche a causa delle fibrillazioni preelettorali con vista sulle Europee del giugno prossimo, la Lega ha mostrato dei dubbi, preferendo ampliare la casistica delle fattispecie che permettano di proseguire una legislatura, grazie alla nomina del secondo capo del governo, scelto nell’ambito della stessa maggioranza in caso di sfiducia o dimissioni di quello eletto.
Da qui, a cascata, gli esponenti di Fratelli d’Italia in Commissione Affari costituzionali del Senato, pensando che le rimostranze leghiste fossero dettate dalle pressioni per ottenere il terzo mandato dei governatori regionali, hanno proposto il limite ai due mandati anche per i presidenti del Consiglio eletti direttamente dal popolo.
Di modifica in modifica, quella che inizialmente sembrava una riforma abbastanza chiara e lineare, si sta trasformando in una Torre di Babele, al punto da indurre l’ex presidente di Palazzo Madama, Marcello Pera, a definire un pasticcio il testo che man mano sta prendendo forma.
Come se ciò non bastasse, i timori ingiustificati di tutelare il più possibile le prerogative del Presidente della Repubblica, stanno condizionando la scelta di attribuire al capo del governo il potere di nominare e revocare i ministri solo in accordo con il capo dello Stato, assegnando al primo la proposta e al secondo la decisione finale sulla nomina e la revoca degli stessi.
La matassa, pertanto, si è ingarbugliata così tanto da decidere di lasciare l’ultima parola sulle modifiche definitive al testo di riforma costituzionale ai tre leader del centrodestra e soprattutto a Giorgia Meloni.
Un assist verso la semplificazione della questione era arrivato, subito dopo il varo del testo, dal presidente del Senato La Russa, che si era espresso per la scelta del premierato forte, che prevede lo scioglimento automatico delle Camere in caso di caduta del Governo, a prescindere dalle cause che possono provocarla. Ciò rafforzerebbe il rapporto tra il primo ministro e l’elettorato grazie alla legittimazione popolare diretta, condurrebbe, secondo il principio di stabilità, alla durata quinquennale delle legislature e renderebbe impossibile il formarsi di nuove maggioranze in Parlamento, che è lo scopo precipuo della scelta della nuova forma di governo.
Infatti, una semplificazione gioverebbe sia alla chiarezza interpretativa delle scelte istituzionali da intraprendere in caso di interruzione anticipata della legislatura, sia al consenso che i cittadini potrebbero esprimere nell’eventuale ma assai probabile, referendum confermativo. In quest’ottica, il messaggio che deve passare è che con questa riforma saranno proprio gli elettori a decidere direttamente da chi farsi governare e rappresentare, dato che il ritorno alle urne sarebbe una scelta automatica in seguito alla fine prematura degli esecutivi e dei parlamenti.
Infine, a nostro avviso, sarebbe preferibile eliminare la previsione del limite ai due mandati consecutivi per lo stesso premier eletto, in quanto dieci anni rischiano di non essere sufficienti per attuare e cominciare a vedere i frutti concreti delle riforme introdotte dagli esecutivi, soprattutto in una Nazione come l’Italia, in cui le resistenze al cambiamento sono fortemente radicate in privilegi e rendite di posizione delle caste e corporazioni più disparate.
Inoltre, a differenza delle giunte regionali in cui un terzo mandato dei presidenti li trasformerebbe in veri e propri ras locali, a livello nazionale sono strutturati e ben presenti pesi e contrappesi al Governo nelle istituzioni della Presidenza della Repubblica, della Corte costituzionale e, talora impropriamente, da parte della magistratura inquirente, come la storia degli ultimi trent’anni ha ampiamente dimostrato.
Dunque, sarebbe auspicabile, da un lato che si vada verso la scelta di un premierato forte e dall’altro, che non si confondano i piani delle riforme costituzionali con i chiarimenti dei rapporti di forza all’interno della maggioranza, poiché ciò potrebbe soltanto nuocere all’unità di intenti dell’intera coalizione e all’efficacia stessa dell’azione di governo.