Un primo ministro eletto direttamente dal popolo che possa nominare e revocare i ministri e, soprattutto, che possa sciogliere le Camere se sfiduciato. Questa, in estrema sintesi, la rivoluzione della forma di governo, che il governo Meloni si accinge a presentare in Parlamento nelle prossime settimane.
“La madre di tutte le riforme”, come l’ha definita il Presidente del Consiglio, vincolerebbe, finalmente, la vita degli esecutivi alla volontà del corpo elettorale impedendo ai partiti di ribaltare il verdetto delle urne con improbabili transumanze parlamentari e legando indissolubilmente Governo e Parlamento in un meccanismo di “simul stabunt, simul cadent”.
Proprio per questo, i principali partiti di sinistra, ossia Pd e Cinque Stelle, vedono il rafforzamento delle prerogative dell’esecutivo e l’impossibilità di aggirare il risultato elettorale come un affronto insopportabile, specialmente dopo un decennio in cui sono riusciti a rimanere al potere senza aver mai vinto le elezioni, anche grazie alla sponda determinante degli inquilini del Colle. Già, il Colle, che con il premierato forte perderebbe il potere fondamentale di sciogliere le Camere e la codecisione dirimente sulla scelta dei ministri, consolidatasi nella prassi fin dai primi anni della cosiddetta “Seconda Repubblica”.
Infatti, Napolitano prima e Mattarella poi, hanno sempre privilegiato la continuità delle legislature anche a dispetto del ribaltamento evidente dei rapporti di forza scaturiti dalle elezioni e contravvenendo alla dottrina costituzionale di Costantino Mortati, che sosteneva la necessità e l’opportunità di sciogliere le Camere in presenza di una discrasia chiara e lampante tra il ribaltone che si sarebbe prodotto con gli accordi tra partiti in Parlamento e il consenso contestuale degli stessi in un determinato momento storico.
Questo vulnus democratico si è andato aggravando in questi ultimi anni dato che, dopo più di un decennio, solo le ultime lezioni hanno prodotto un risultato chiaro e una maggioranza netta in entrambi i rami del Parlamento, a dispetto di due legislature in cui il Pd dal 2013 al 2018 e il Cinque Stelle dal 2018 al 2023, hanno governato sostanzialmente grazie all’appoggio decisivo di pezzi di centrodestra e alla copertura degli inquilini del Quirinale, i quali da più di tre lustri sono espressione ininterrotta della sinistra.
Pertanto, la perdita della sponda quirinalizia potrebbe significare per il Pd e i suoi cespugli l’addio definitivo o quasi con la possibilità di partecipare a Governi formatisi con accordi post-elettorali. E tutti i costituzionalisti “iperparlamentaristi” afflitti quasi come vedove inconsolabili per la sottrazione delle prerogative del Colle, non sanno come controbattere a chi, ragionevolmente, fa notare loro che, allora, sarebbe più coerente con la sovranità popolare far scegliere il Presidente della Repubblica ai cittadini, invece che al Parlamento. Infatti, optando per il premierato, è naturale che il Capo dello Stato ceda due prerogative a favore del Capo del Governo, legittimato direttamente dai cittadini, come succede nella maggior parte dei sistemi parlamentari razionalizzati, quale ad esempio quello spagnolo.
Quindi, in conclusione, il progetto di revisione costituzionale della forma di governo deve assolutamente prevedere la richiesta da parte del Primo Ministro e l’ottenimento automatico da parte del Presidente della Repubblica dello scioglimento delle Camere in caso di sfiducia.
L’unico caso che potrebbe evitare il ricorso alle urne potrebbe essere la sostituzione del Primo Ministro con un altro esponente della stessa maggioranza uscita vincente dalle elezioni, contemperando in tal modo il principio della sovranità popolare con quello della sfiducia costruttiva parlamentare, declinato all’italiana, ma che non consenta più, come troppe volte in passato, la possibilità di ribaltare il responso dei comizi elettorali.
Infatti, la mancata corrispondenza tra i risultati delle elezioni e la formazione conseguente dei governi, aggravato dalla contestuale cessione di sovranità alle istituzioni Ue che non sono espressione diretta della volontà popolare, è tra le cause principali della crescente disaffezione degli elettori e del fenomeno preoccupante dell’astensione elettorale.