Il Parlamento britannico pubblica un voluminoso carteggio dal quale emerge come i dati personali degli utenti di Facebook sono stati ceduti a Netflix, Airbnb e altre piattaforme, vicenda che evidenzia come il problema privacy sia ancora un nervo scoperto
di Alessandro Alongi
Appena otto mesi dopo la nota vicenda di Cambridge Analytica (definito dal garante privacy dell’Unione europea come «il possibile scandalo del secolo») Facebook è ricaduto nella tentazione di divulgare segretamente, a scopo di lucro, i dati personali di milioni di utenti attivi sulla popolare piattaforma.
A rivelare la malpractice della creatura di Mark Zuckerberg un gruppo di parlamentari britannici che, a sostegno delle proprie affermazioni, ha esibito 250 pagine di mail interne circolate negli ultimi anni all’interno dell’azienda di Menlo Park, e nelle quali affiorano accordi segreti tra il Social e piattaforme del calibro di Netflix, Airbnb e Lyft (l’app candidata a diventare l’anti-Uber) per la cessione dei profili degli utenti di Facebook.
Non solo violazione della privacy, ma anche pratiche commerciali scorrette e concorrenza sleale. Nel lungo florilegio c’è di tutto: in una mail del 24 gennaio 2013, ad esempio, si scopre che, quando Twitter lanciò “Vine”, applicazione che consente di girare brevi video da condividere successivamente anche su Facebook, gli uomini di Zuckerberg proposero rapidamente di limitare l’accesso dell’app ai propri utenti, decisione approvata direttamente da “MZ”: «A meno che nessuno sollevi obiezioni, chiuderemo oggi l’accesso all’API dei loro amici». Lapidaria la risposta di Zuckerberg alla sua collaboratrice: «Yup, go for it».
Ma il peccato originale rimane sempre quello legato alla privacy e alla gestione dei dati degli utenti, vera miniera d’oro in mano al popolare social: in una mail del 4 febbraio 2015, il team interno dedicato allo sviluppo strategico informava le alte sfere di stare esplorando un percorso per permettere di aggiornare automaticamente il sistema Android dei telefoni degli utenti in modo da poter accedere al registro delle chiamate e agli altri contenuti dei dispositivi. «Sulla base dei test iniziali» scrive il gruppo di ricerca, «sembra che questo ci consentirebbe di aggiornare i telefoni degli utenti senza sottoporli a una finestra di dialogo per autorizzare o meno l’aggiornamento. In tal modo gli utenti dovrebbero fare clic per aggiornare, ma nessuna finestra di dialogo delle autorizzazioni verrebbe visualizzata».
La prova del travaso dei dati degli account privati verso le altre piattaforme digitali, stando alle prove documentali, è in una mail del 17 febbraio 2015 inviata da Netflix a Facebook che porta alla luce l’accordo tra la piattaforma di contenuti video e il popolare social: «Saremo autorizzati a ricevere tutti gli amici, non solo gli amici connessi». Di analogo tenore quanto scrive Lyft il 30 marzo 2015: «L’app è stata autorizzata per l’accesso a tutti gli amici reciproci».
I segnali che Facebook non godesse più di particolare stima nell’ambiente tech si erano manifestati già da tempo, ma questo ulteriore passo falso potrebbe minare ancora di più la credibilità. Il VivaTech di Parigi (la conferenza annuale dedicata all’innovazione e alle startup) tenutosi a maggio scorso (quindi in piena vicenda Cambridge Analytica), vide come ospite d’eccezione proprio Mark Zuckerberg, accolto come una star dal pubblico. Qualche mese dopo, il Web Summit di Lisbona, altro appuntamento clou del popolo di Internet, preferì non invitare nessun rappresentante di Facebook, dando spazio invece a Christopher Wylie, il giovane ingegnere informatico che con le sue rivelazioni ha fatto emergere lo scandalo degli 87 milioni di account di FB violati nel 2016, nel bel mezzo della campagna presidenziale americana. Parole di fuoco quelle di Wylie nei confronti del gigante californiano, accusato di aver «creato una frattura all’interno della società americana» e «non fare nulla per combattere la disinformazione».
Nel corso delle testimonianze rese al Congresso e al Senato Usa lo scorso mese di aprile, Mark Zuckerberg si era impegnato a introdurre maggiore trasparenza e più attenzione al controllo sui contenuti di Facebook. Ottimi propositi, ma finora senza alcun seguito.