Partirà a settembre e durerà sei mesi il procedimento volto a individuare eventuali posizioni lesive del pluralismo nel settore della pubblicità su Internet. Nel mirino i giganti del Web
In concomitanza con la chiusura dell’indagine conoscitiva sui Big Data (durata due anni e portata avanti congiuntamente con l’Antitrust e con il Garante per la Privacy), l’attenzione dell’AGCOM si sposta sulla pubblicità online. In effetti, questi due argomenti sono più legati tra di loro di quanto non possa sembrare, basti pensare allo sfruttamento economico dei dati, al ruolo della profilazione algoritmica nei mercati pubblicitari e al programmatic advertising; per cui si può dire che l’Autorità sta seguendo una linea di indagine precisa e coerente.
In una nota rilasciata lunedì 29 luglio, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha comunicato di aver deliberato «l’avvio di un procedimento finalizzato all’individuazione e all’analisi del mercato rilevante, all’accertamento di posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo nel settore della pubblicità online», nonché all’eventuale adozione delle misure previste dal Testo unico della radiotelevisione.
Anche in Italia, come ormai dovunque, gli investimenti pubblicitari stanno sempre più abbandonando la carta stampata e la televisione per internet e sebbene questo passaggio sia ancora in divenire, la pubblicità online è già arrivata a pesare circa un terzo del totale. L’advertising online è ancora nettamente dietro rispetto alla tv ma la distanza si accorcia di anno in anno: nel 2018 i canali televisivi hanno beneficiato di circa il 45% della quota di investimenti pubblicitari, il digitale è arrivato a superare il 31%, confermandosi sempre più “attraente” e aumentando il distacco da stampa (ferma al 12% e relegata al terzo gradino del podio ormai dal 2013) e radio (5%).
In generale, gli investimenti pubblicitari in Italia rappresentano un settore in espansione che ha registrato una performance in netta controtendenza rispetto all’andamento del PIL: la spesa è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi cinque anni, passando da 1,4 miliardi di euro nel 2013 a 2,7 miliardi di euro nel 2018, con un +11% nel 2018 rispetto al 2017 (Fonte: AGCOM). Una torta che continua a crescere, che perciò fa sempre più gola e che l’Autorità ha pensato bene di passare sotto la lente di ingrandimento per scovare pratiche scorrette e posizioni dominanti.
Nel giugno scorso, il Politecnico di Milano ha segnalato che nel 2019 la crescita dell’internet advertising potrebbe assestarsi al di sotto del 10% (comunque un’enormità rispetto all’andamento dell’economia italiana) e che il valore assoluto del mercato dovrebbe raggiungere i 3,2 miliardi di euro. Lo stesso Politecnico ha affermato, tramite il responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet Media Giuliano Noci, che «si tratta di un mercato altamente concentrato nelle mani di pochi player: la componente in mano agli OTT era pari al 75% nel 2018 e crescerà almeno di un punto percentuale nel 2019. Inoltre, la pubblicità gestita da questi attori è l’unica che cresce. Infatti, la raccolta pubblicitaria che non transita da motori di ricerca, Social network e altri ecosistemi internazionali ha registrato a fine 2018 un calo del 3%». Una situazione preoccupante e che opportunamente ha visto attivarsi l’Autorità.
Nell’annuncio di questo procedimento, l’AGCOM ha fatto richiamo esplicito al Testo unico della radiotelevisione (decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177) che impone alla stessa Autorità di individuare i ricavi «da pubblicità online e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta, incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione» tra quelli da considerare ai fini della valorizzazione del Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC), nonché nell’ambito delle analisi sulle posizioni dominanti nei singoli mercati rilevanti che lo compongono. Semplificando un po’, l’AGCOM lascia intendere di voler quantificare puntualmente le risorse economiche che vengono raccolte sotto forma di pubblicità dai colossi del web, cioè essenzialmente dai motori di ricerca (su tutti, Google) e dalle grandi piattaforme social come Facebook, Instagram e Twitter.
L’indagine avrà una durata di sei mesi (a far data dalla pubblicazione del provvedimento sul sito web dell’Autorità, prevista nel mese di settembre), al termine dei quali l’AGCOM renderà note sul suo sito web le conclusioni e le eventuali decisioni sanzionatorie, che potrebbero andare dall’invito a rimuovere le eccessive concentrazioni di risorse fino all’imposizione di dismissioni, nei casi di posizioni dominanti. Non resta che aspettare la primavera del 2020.