Troppo scoperto ormai il gioco del “vaffa 2.0” solo per non parlare dei veri problemi del M5S. Che ci sono e delicati
di S.D.C.
Giusto pochi giorni fa si festeggiavano i dieci anni del “vaffa day” dei Cinque Stelle. E puntuale come un pendolo che scandisce le ore, Beppe Grillo, in quel di Rimini dove nel fine settimana si è tenuta la santificazione del premierato di Luigi Di Maio, ha inteso inaugurare la seconda fase dell’insulto ad uso degli oppositori del Movimento, giornalisti e stampa in genere in testa. Dal “vomito” alle “banconote da 500 euro false” tutto fa brodo, in realtà soltanto per fare notizia e coprire i veri problemi che stanno sul tavolo. Una vecchia tattica affatto nuova ma sempre in auge, una sorta di lavaggio del cervello da spot per quanti, tra i militanti, preferiscono far finta di non vedere i fatti. E chiamarli per nome. Riassumiamoli, allora, questi fatti. Per chi volesse, almeno un attimo, ragionare con cognizione.
Innanzitutto, il mito della consultazione online, già in forte difficoltà (leggi Genova e Sicilia) esce ulteriormente malconcio da questa prova. Confusione e ritardi nelle regole, scorribande di (supposti) pirati informatici, scarsa per non dire risibile partecipazione (37.000 votanti su 140.000 iscritti). Uno sboom se è vero com’è vero che, con colpevole dichiarazione, qualche leader del Movimento rischiava l’obiettivo dei 70/80.000 clic.
In secondo luogo, collegata al primo punto, la conferma della mancanza di trasparenza sull’utilizzo della piattaforma. Lo slittamento della chiusura della consultazione è stato causato dai tentativi di incursione dalla rete oppure dal maldestro tentativo di aumentare gli ingressi quando si è resa evidente la scarsa partecipazione degli iscritti?
Ancora, il dato più politico: con questi numeri e alla luce delle modalità della competizione, il nuovo premier in pectore e capo del Movimento appare fortemente condizionato sia verso l’interno che verso l’esterno.
Quanto al futuro, non è affatto tutto risolto come si dichiara a livello dei vertici ufficiali. “Lui non è il capo del movimento. Il candidato premier è il capo della forza politica, ovvero è riferito alla legge elettorale, ma non è capo della vita politica generale del movimento. Questa è una grande distinzione”, ha dichiarato ieri il principale esponente della fronda interna, Roberto Fico, facendosi interprete dei crescenti malumori degli ortodossi. E qui non ci possono essere malevole interpretazioni o peggio artifici ad arte della stampa. L’opposizione interna c’è è basta. Ora occhio alle elezioni siciliane se il candidato Cancellieri non ce la dovesse fare. E soprattutto alla composizione delle liste, quando sarà, per le politiche. La partita è tutta da giocare.