Gli improrogabili impegni familiari che hanno costretto a Varese il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, impedendogli di partecipare all’ultimo e assai concitato CdM, quello che ha deciso l’approvazione dell’obbligo vaccinale per gli over 50, forse potrebbero cambiare, in un sol colpo, sia le future sorti del governo, sia quelle dell’elezione per il prossimo inquilino del Quirinale.
A volte è incredibile come la necessità di visitare uno zio malato, un figlio in difficoltà, una suocera bisognosa, o anche solo di godere di ferie già programmate, riescano a modificare le sorti dell’umanità.
È già successo nel 1914, quando il Kaiser tedesco se ne partì in crociera e, intanto, in sua assenza – dunque senza che lui potesse fare nulla per impedirlo, visto che all’epoca non esistevano i telefonini – l’alleato austriaco mandò un ultimatum alla Serbia, provocando lo scoppio della Prima guerra mondiale. Qualcosa di simile potrebbe succedere ora in Italia, anche se – si spera – con esiti meno devastanti.
A quanto pare, pochi commentatori hanno creduto davvero all’improrogabilità degli impegni di famiglia di Giorgetti – vera eminenza grigia leghista – interpretando la sua assenza dall’ultimo Consiglio dei ministri, come l’inequivocabile segno di una “exit strategy” avviata dal partito rispetto alla propria presenza nel “governo dei Migliori”.
Insomma, una sorta di preavviso di sfratto da Palazzo Chigi, recapitato all’indirizzo di SuperMario Draghi. Sarà davvero così? O queste ipotesi sono solo frutto di un eccessivo complottismo e di una dietrologia fin troppo spinta?
Fatto sta che – come una sorta di profezia che si auto avvera – i segnali di allontanamento della Lega dalla maggioranza di governo continuano a moltiplicarsi di ora in ora. Ed ecco allora la polemica sull’età minima per l’obbligo vaccinale, che la Lega voleva porre a 60 anziché 50 anni. Ed ecco anche la forte spaccatura col PD sull’uso di fonti energetiche quali il nucleare. Infine, come se non bastasse, ecco persino la presenza di Massimiliano Romeo – capogruppo leghista in Senato – fra i relatori del convegno anti Green Pass, organizzato a Roma pochi giorni or sono.
Vera o falsa che sia l’ipotesi, c’è da dire che, chiunque abbia ideato ed eseguito questo programma operativo, dev’essere decisamente un uomo dall’ottimo fiuto, che merita sinceri complimenti per la propria abilità strategica. Se, invece, tutto fosse solo il frutto del caso e d’incredibili e fortuite coincidenze, vorrebbe dire che, attualmente, il Fato e la Fortuna hanno – non saprei dire il perché – una spiccatissima simpatia per i leghisti.
Solo poche settimane fa la Lega contendeva al Movimento 5 Stelle il titolo di partito più in crisi e in calo di consensi d’Italia. Dopo avere anche sfondato quota 40% nei sondaggi, Salvini, da mesi, viaggiava al di sotto di un misero 20%, scavalcato anche dai Fratelli – coltelli – d’Italia di Giorgia Meloni.
La sua strategia di dividersi proprio con Giorgetti il ruolo di poliziotto buono e poliziotto cattivo pareva non dare frutti, rendendo, agli occhi degli italiani, poco credibile e poco seducente, sia la Lega di lotta salviniana – troppo soft rispetto alla forte carica antigovernativa delle truppe meloniane – sia quella di governo giorgettiana, che appariva superflua e marginale – persino rispetto a Forza Italia – nel dare il proprio sostegno a Draghi.
Ma, approfittando del “ritorno della politica politicante”, dovuto alla necessità di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, dovendo quindi passare per forza per il Parlamento, senza la scorciatoia dei mille decreti e del perenne stato emergenziale, che ha sin qui caratterizzato e aiutato l’operato di Draghi, evitandogli le pastoie delle mediazioni coi partiti, ecco il colpo di reni, di genio e di teatro leghista.
Ufficialmente, si sa, il candidato della Lega e di tutto il centrodestra resta Silvio Berlusconi. Però, contemporaneamente, una volta appurato che il centrosinistra non ha la forza e forse nemmeno la voglia di proporre una propria spendibile candidatura alternativa, ecco che la Lega comincia ad ammiccare verso il PD, facendo trasparire la disponibilità a convergere sul nome di Draghi per il Quirinale e, contemporaneamente, a non osteggiare un prossimo governo a guida PD, magari presieduto proprio da Letta o da Franceschini.
Una proposta – sebbene non ufficiale – che non può lasciare insensibile il segretario democratico e le sue truppe. Resterebbe però lo scoglio di coloro – e non sono pochi – che non vorrebbero uno spostamento di SuperMario sul Colle romano più alto, un trasloco che, giocoforza, romperebbe gli attuali delicatissimi equilibri politici.
A quel punto, la Lega come potrebbe convincere quegli indecisi, di destra e di sinistra, inducendoli a percorrere quella strada? Ed eccolo il colpo di genio leghista: rompendoli fin da subito quegli equilibri. Dimostrando, con piccoli ma continui segnali, che ormai il governo Draghi non ha più futuro. Così facendo, ai draghisti più convinti non resta, giocoforza, che eleggere SuperMario al Quirinale, per toglierlo dalla graticola in cui finirebbe se guidasse una maggioranza perennemente rissosa, poco coesa, che gli farebbe perdere prestigio e credibilità anche su piano internazionale.
Con Draghi sul Colle più alto e un’altra figura a Palazzo Chigi, ecco che allora che la Lega avrebbe il giusto pretesto per sfilarsi, prima o poi, dalla maggioranza. Magari non subito, magari più in là. Oppure anche immediatamente, chissà. In ogni caso, giusto in tempo per potersi ritagliare una campagna elettorale fatta dall’opposizione, per impallinare ogni mossa falsa del futuro governo, e sottolineare ogni contraddizione e possibile difficoltà che si dovesse profilare nel paese, senza doversene più assumere la corresponsabilità.
Così facendo la Lega può – e anche rapidamente – riconquistare i consensi persi per strada in questo ultimo anno, tornare a contendere a Giorgia Meloni la leadership del centrodestra, contribuire a far diventare quell’area politica la schiacciante maggioranza del paese.
Tre risultati positivi in una sola mossa. Risultati che potrebbero essere ulteriormente agevolati, per paradosso, anche dalla recente débacle alle amministrative. Poiché il centrosinistra non avrebbe nemmeno la possibilità di scaricare sui sindaci e i governatori gli eventuali problemi e i malcontenti popolari, essendo sindaci e governatori, in larga misura, tutti della propria parte politica.
Se poi tutto questo non dovesse verificarsi, resta pur sempre in campo il piano B. B come Berlusconi: il Cavaliere sembra ringiovanito e si sta dando un gran da fare nel cercare i voti che gli mancano per diventare il prossimo Presidente della Repubblica. Non è detto che non ci riesca. Anche in quel caso la Lega avrebbe buon gioco a intestarsi quell’elezionecome un proprio grande successo, con un grande beneficio a livello d’immagine e di crescita di potere e di credibilità.
Certo, Draghi a quel punto resterebbe a Palazzo Chigi, però resterebbe come un premier fortemente indebolito. I leghisti, in tal modo, potrebbero proseguire il gioco di destabilizzazione del governo, quel gioco inaugurato nelle ultime settimane. Una lenta goccia cinese, finalizzata al poter staccare la spina nel momento ritenuto politicamente più propizio.
A quel punto Salvini si troverebbe con un importante alleato al Quirinale che gli potrebbe fare da sponda, un Presidente della Repubblica che sceglierebbe di proseguire o sciogliere la legislatura, decidendo modalità e tempistica, sulla base di un possibile e probabile occhio di riguardo per le convenienze del centrodestra.
Insomma, per Salvini e soci si è aperta una grande e insperata opportunità win-win, comunque si concluda la partita quirinalizia. A meno che il centrosinistra – o i grillini – non tirino fuori dal cilindro una terza opzione, un nome nuovo, unica strada rimasta al PD e ai suoi alleati per tornare ad essere al centro della scena. Una strada che, però, al momento non si vede ancora all’orizzonte.