Gli eventi politici attesi nelle due settimane a cavallo tra gennaio e febbraio 2015 avranno il merito di fare luce su quello che sarà il sentiero che la politica italiana batterà nei prossimi mesi. Forse questi fatti saranno tanto rilevanti da permettere anche di farsi un’idea più chiara circa quella che sarà l’effettiva durata della diciassettesima legislatura repubblicana.
Se arrivare alla fine naturale della legislatura (nel 2018) fosse per le forze politiche quello che la vittoria della Champions League rappresenta per le squadre di calcio, allora potremmo tranquillamente affermare che la chiusura della prima lettura parlamentare del disegno di legge di riforma costituzionale, la conclusione dell’esame in Senato per il disegno di legge contenente la norme per l’elezione della Camera dei Deputati e, soprattutto, il voto per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale potrebbero essere interpretate come un vero e proprio “girone di ferro” che darà preziose indicazioni circa l’effettiva possibilità di evitare quello che sarebbe l’ennesimo scioglimento anticipato del Parlamento. Nei mesi scorsi, già altre volte, abbiamo individuato alcuni passaggi politici che fornivano elementi di riflessione più o meno precisi circa la possibile longevità della legislatura. Tutto quello che è successo finora, dalla staffetta Letta-Renzi a Palazzo Chigi, passando dal Patto del Nazareno e dal clamoroso esito delle elezioni europee di maggio 2014, fino alle dimissioni di Napolitano, hanno scavato la roccia della politica, lasciando (o promettendo di incidere) evidenti e profonde tracce nella conformazione dei partiti (è sempre in ballo la prospettiva di una scissione a sinistra del PD, a guida Civati) e nelle intenzioni dei leader. Come se non bastasse, i fatti che caratterizzeranno questo breve periodo, le prese di posizione dei vari esponenti politici e le eventuali (ma altamente probabili) tensioni che verranno a crearsi soprattutto dentro i partiti che hanno maggiori responsabilità in Parlamento (su tutti, il PD) potranno lasciare un segno profondo sul destino dei partiti e dei loro leader (su tutti, Renzi e Berlusconi).
Al termine di questo ciclo infernale sarà più chiaro se la leadership di Renzi è forte o traballante e se il PD avrà ancora una volta evitato una scissione. Vedremo se la fronda civatiana (che in realtà ha molte più ramificazioni) avrà preso tanto coraggio quanto basta – magari sull’onda emotiva del voto ellenico che ha registrato la vittoria del partito di sinistra Syriza, guidato da Alexis Tsipras – per dare forma a un nuovo partito nel settore della sinistra radicale lasciato orfano dalla progressiva scomparsa di Rifondazione Comunista di bertinottiana memoria. Sapremo se Berlusconi avrà ancora qualche chance di riprendersi la guida del centrodestra o se esponenti come Raffaele Fitto saranno invogliati a proseguire la scalata interna verso posizioni da leader nazionale. Valuteremo se il MoVimento 5 Stelle (nella sua nuova struttura dirigente, con il tandem Grillo-Casaleggio che supervisiona i cinque del direttorio: Di Maio, Di Battista, Fico, Ruocco e Sibilia) avrà riconquistato una centralità politica o se avrà perso altri parlamentari (dal 2013, il M5S ha perso 26 dei 163 eletti in Parlamento, il 16% del totale).
È chiaro che il campo sul quale verrà giocata la partita principale sarà quello del Quirinale. Questo per una serie di motivi. La riforma costituzionale è importantissima ma ancora ha un lungo percorso davanti a sé (più esteso rispetto a quello di un decreto-legge o di un semplice disegno di legge) prima di riuscire ad essere definitiva ed effettiva. Dopo l’OK del Senato, la legge elettorale è attesa a un ulteriore passaggio alla Camera che potrebbe non essere l’ultimo. L’elezione del Presidente della Repubblica invece equivale a una finale: la partita si gioca in pochi giorni (al netto di sorprese) e chi viene eletto dura in carica 7 anni; la Costituzione garantisce al Presidente un ruolo e un potere tali da poter condizionare l’andamento della politica in svariati modi, non ultimo attraverso le sue prerogative di scioglimento delle Camere e quella di indizione di nuove elezioni. Per di più, la prassi presidenziale degli ultimi 20 anni (in particolare quella delle presidenze Scalfaro e Napolitano), complice una clamorosa e conclamata incapacità politica di autocorreggersi e di rinnovarsi, ha enormemente ingigantito la centralità della figura del Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica non si limita più a essere il garante della Costituzione e un mero organo di rappresentanza dell’unità nazionale ma è divenuto un attore politico di prim’ordine: i Governi Dini, Amato, Monti, Letta e Renzi ne sono l’emblematica testimonianza.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi sa di mettere in gioco gran parte della solidità della sua leadership con la partita del Quirinale e non è assolutamente intenzionato a rischiare di subire la stessa sorte di Bersani nel 2013, quando il mancato dialogo con alcune componenti delle opposizioni e i franchi tiratori del PD “bruciarono” entrambi i candidati proposti (Franco Marini e Romano Prodi) dall’allora segretario democratico e decretarono la fine della sua esperienza alla guida del PD. Il primo nemico è sempre il voto segreto. Lunedì 26 gennaio 2015 Renzi ha incontrato i membri dei Gruppi parlamentari PD in Parlamento, anticipando la strategia: scheda bianca ai primi tre scrutini e poi il PD proporrà un solo nome “prima di sabato”, quando potrebbe avere luogo il quarto scrutinio. Martedì 27 gennaio il premier incontrerà le rappresentanze degli altri partiti per cercare di sondare gli umori e le opinioni, valutando attentamente eventuali candidature finora non prese in considerazione. Civati e altri rappresentanti della minoranza PD, temendo che i giochi siano già stati fatti tra Renzi e Berlusconi all’interno del perimetro del Patto del Nazareno, hanno giocato d’anticipo avanzando la candidatura di Prodi. Sembra chiaro come il secondo obiettivo di Renzi (il primo è eleggere il Capo dello Stato in maniera condivisa, con il più largo consenso possibile) sia quello di evitare che l’elezione del successore di Napolitano si trasformi in una sorta di referendum sul Governo o sulla sua persona. Vedremo se entrambi gli obiettivi verranno raggiunti o se l’affaire Quirinale aprirà una crisi politica nel PD o se sarà di dimensioni tali da gettare le basi per una crisi di Governo. In ogni caso, si spera che il nuovo inquilino del Colle sia una persona affidabile, credibile e capace di gestire le enormi responsabilità legate alla prima carica dello Stato, e che la politica riscatti la figuraccia rimediata nel 2013.