Come cambia il lavoro nel mondo del credito con l’avvento delle nuove tecnologie: diminuiscono gli sportelli e gli impiegati, aumentano giovani, donne e laureati, tutti chiamati a gestire la finanza dei prossimi anni
di Alessandro Alongi
Il futuro è arrivato e il lavoro in banca dovrà fare presto i conti con la rivoluzione digitale, fattore che sta imponendo già oggi profonde riorganizzazioni aziendali.
Se fino ad oggi per trasferire denaro, richiedere un prestito o effettuare un pagamento bisognava ricorrere ad uno sportello bancario, con l’affacciarsi di Internet nell’agone della finanza tutto ciò sta scomparendo, e la cosa non è priva di riflessi per il comparto che adesso deve fare i conti con robo-advisory, blockchain e pagamenti elettronici.
E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Diminuiscono gli sportelli “fisici” a favore di quelli “digitali”, con la diretta conseguenza di una contrazione del numero di occupati nella filiera bancaria: in 5 anni sono andati in fumo circa 5 mila posti di lavoro (gli impiegati sono passati da 323 mila nel 2013 a quasi 298 mila nel 2017). Anche le uscite volontarie hanno visto un’impennata, registrando 70 mila nuovi pensionamenti dal 2001 ad oggi, compensati con “solo” 20 mila nuovi ingressi, che però rispettano in pieno il canone del posto fisso: oltre il 99% dei contratti sono a tempo indeterminato.
Tra le principali caratteristiche del personale bancario si evidenziano anche la qualità professionale in costante crescita (con il 38,9% di laureati) e il continuo aumento del personale femminile che rappresenta ormai quasi la metà dei dipendenti di settore (45,9%). L’età media si attesta a 42,5 anni.
Questo e molto altro emerge dall’analisi dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana (che raggruppa 359 istituti associati), in occasione della presentazione del 26° Rapporto 2018 sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria, resoconto che costituisce ormai un punto di riferimento per le analisi delle politiche retributive e di gestione del personale, nel quadro dei profondi processi di ristrutturazione che interessano le aziende di credito.
Tra i fattori critici segnalati dall’ABI, oltre al prepotente avvento dei nuovi strumenti digitali nella gestione finanziaria, anche la competizione degli Istituti di credito tradizionali con gli operatori non bancari che offrono servizi innovativi, ad esempio nell’area pagamenti, senza i vincoli, anche regolamentari, che gravano sulle banche. Google, Amazon, Facebook e Alibaba, solo per citarne alcuni, hanno ormai deciso di puntare tutte le energie sulla trasformazione del concetto di banca, virtualizzando il denaro e inaugurando un nuovo corso della finanza, minacciando da vicino le tradizionali filiere, partendo dai pagamenti digitali, ma non solo. Grazie alla possibilità di sfruttare i dati dei propri clienti, impostare algoritmi di calcolo e predire le scelte e le preferenze di ogni utente, i nuovi protagonisti del web acquistano un impareggiabile vantaggio competitivo nei confronti delle banche tradizionali.
Il tema, che interessa trasversalmente tutti i settori produttivi e di servizio, ha assunto un’importanza tale da indurre nella scorsa legislatura il Senato a condurre un’indagine conoscitiva sull’impatto sul mercato del lavoro della quarta relazione industriale, nella quale sono emersi con forza gli imponenti cambiamenti nel mondo del lavoro, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, disegnando possibili scenari non necessariamente a tinte fosche: nella loro relazione conclusiva gli inquilini di Palazzo Madama hanno calcolato che in 27 Paesi europei la digitalizzazione abbia prodotto 11,6 milioni di posti di lavoro aggiuntivi tra il 1999 e il 2010, cosa che ha portato anche alla scomparsa di altri posti in un fenomeno che è di sostituzione e trasformazione, non di pura distruzione. Qualche speranza in più anche per il mondo bancario.
Il digitale non solo come minaccia, dunque, ma anche come straordinaria opportunità, conclusione, questa, che emerge nel Rapporto ABI insieme all’assunzione di consapevolezza della necessità di definire nuove professionalità, nuove attività, innovativi strumenti gestionali per creare nuova occupazione, aumentare i ricavi e continuare a sostenere l’economia in una fase di alti e bassi. In una parola, governare il futuro.