Dal Consiglio dell’Economia e del Lavoro critiche al Reddito di cittadinanza e perplessità sul ‘dopo quota 100’. Forza lavoro italiana sempre meno ‘appetibile’ sul mercato. Giovani sempre più penalizzati. Cresce l’occupazione degli immigrati, ma in modo disordinato
“Vi sono criticità connesse all’adozione del Reddito di Cittadinanza in chiave incentivante l’occupazione”, ha sottolineato il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), Tiziano Treu, in occasione dell’annuale Rapporto del medesimo Cnel sul mercato del lavoro.
Il Cnel non ha promosso quindi il reddito di cittadinanza, motivando questo giudizio. “In un contesto di debole domanda del lavoro, infatti, gli sgravi previsti in favore delle imprese che assumono i beneficiari dello strumento potrebbero finire per indurre le stesse a privilegiare questa tipologia di disoccupati, invece dei percettori di Naspi“.
Bocciato il reddito di cittadinanza, il Cnel non ha risparmiato neanche il più “noto” dei provvedimenti in materia pensionistica: quota 100.
“Il Cnel ha discusso più volte (su quota 100, ndr) esprimendo posizioni anche diverse al suo interno. Ma una considerazione comune ha riguardato la necessità di fare una valutazione attenta sul trade off fra costi e benefici di questa misura. Oggi però si pone il problema urgente di come “uscire” da Quota 100. In particolare, occorre evitare che la sua fine, prevista per il 2021, crei un “buco previdenziale” di alcuni anni, lasciando scoperte le coorti di lavoratori interessati“.
Il rapporto ha poi approfondito il centrale tema della competitività della forza lavoro italiana, dal quale derivano le prospettive occupazionali del nostro Paese e dei propri lavoratori o aspiranti tali.
“La nostra forza lavoro non è più competitiva rispetto alle stesse categorie di altri Paesi. Un fenomeno composito che scaturisce da diversi fattori tra cui i bassi livelli di istruzione terziaria rispetto alla media Ocse; le prospettive di occupazione per i laureati tra i 25 ed i 35 anni, inferiori a quelle dei diplomati dei corsi di studio professionali di istruzione secondaria superiore; la persistenza di fenomeni come i Neet (che secondo Eurostat 2018 raggiungono in Italia il 28,9%, quasi il doppio rispetto alla media europea); l’elevato numero dei low skilled (circa 11 milioni per il 52% uomini, concentrati nelle fasce d’età più avanzata)“.
A soffrire ancora sul mercato del lavoro sono quindi i più giovani. Sono loro, secondo il Cnel, “l’anello debole del mercato del lavoro con un calo di 400 mila occupati dall’inizio della crisi ( -28,8%) tra i 15 e i 24 anni, mentre tra i 25 e i 34 anni dopo la crisi non sono piu’ rientrati nel mercato del lavoro circa 1,4 milioni (-27%)”.
Sul fronte del lavoro degli immigrati, invece, leggendo il rapporto emerge che “Attualmente in Italia un occupato su dieci e’ immigrato, con 2,45 milioni di stranieri occupati, pari al 10,6% dell’occupazione complessiva (+ 4,6% rispetto al 2018)”.
Cresce quindi l’occupazione sul fronte degli immigrati, ma si tratta di un’occupazione “manuale e scarsamente qualificata, riguarda attivita’ che non possono essere trasferite in Paesi dal costo del lavoro piu’ basso (costruzioni, servizi alla persona)”.
Ergo, “il lavoro immigrato cresce ma senza regole”.
“Il rapporto di quest’anno presenta un mercato del lavoro che ha piu’ ombre che luci, abbiamo un aumento dell’occupazione ma si tratta di una occupazione precaria con molto part time involontario, quindi la luce e’ un aumento dell’occupazione ma di bassa qualita”, ha commentato il Presidente Treu, facendo sintesi dei vari messaggi contenuti nel XXI rapporto su ‘mercato del lavoro e contrattazione collettiva’ del Cnel.
Treu, proseguendo, ha poi evidenziato che di fronte ad una situazione del genere “non bastano rimedi isolati e parziali, incentivi anche fatti bene e interventi legislativi compresi quelli piu’ recenti, ma serve un deciso cambio di rotta”.
E quando si parla di cambio di rotta, si intende “investire su innovazione e competitivita’ e sulle competenze dei giovani e delle donne, perche’ il deficit di competenze pesera’ sempre di piu’ nella prospettiva digitale.
“Occorre contrastare – ha concluso Treu – la tendenza italiana di tanti anni di investire poco sull’innovazione e sulle competenze”.