Qualità dei servizi della PA migliorata negli ultimi 5 anni, ma scarsa integrazione tra sanità e sociale, adempimenti di carattere fiscale problematici. Tempi di pagamento della PA alle imprese ancora troppo lunghi. Rampelli rilancia ruolo dell’ente. Bongiorno annuncia che non farà una “mega riforma” della PA che porti il suo nome
di Stefano Bruni
Non è mancato proprio nulla alla presentazione della VI relazione annuale sui livelli e la qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni, predisposta dal Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro e tenutasi nella “Sala della Regina” della Camera dei Deputati.
Fabio Rampelli, Vice Presidente della Camera, ha rivolto il saluto di apertura da “padrone di casa” sfruttando l’occasione per rispondere al Ministro Fraccaro che qualche giorno fa era tornato a proporre la chiusura del Cnel: “Dopo aver superato il processo di demonizzazione referendaria, oggi il Cnel deve sottrarsi alla nuova furia ideologica che rischia di ricondurlo, come in tutte le epoche rivoluzionarie, in prossimità della “ghigliottina”.
Il Ministro Bongiorno, chiudendo i lavori, ha fatto sapere che non proporrà una riforma della Pa che porti il suo nome, ma piuttosto che interverrà “chirurgicamente” sulle norme esistenti per adattarle ai vari contesti, anche territoriali e che sarà la “stalker del 100” riferendosi al massimo della valutazione dei dirigenti nelle Pa.
Nel mezzo, i dati del rapporto, non proprio incoraggianti.
Adempimenti fiscali problematici, forti criticità nelle procedure della Giustizia, ma soprattutto tempi biblici per i pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese.
Sono solo alcuni dei temi “caldi” trattati da questa relazione definita un “unicum” da Gian Paolo Gualaccini, Presidente della Commissione del Cnel che ha predisposto il documento, in quanto unico esempio di “valutazione istituzionale” delle attività della pubblica amministrazione.
Un Rapporto ampio dunque, che ha coinvolto, in uno spirito di “volontariato istituzionale”, le più importanti amministrazioni dello Stato. Dall’Istat alla Banca d’Italia, passando per Unioncamere e molte altre.
Il risultato di questa indagine è che in Italia continuano a d esserci seri problemi di efficienza ed efficacia rispetto all’azione della Pubblica amministrazione. Lo sanno bene le imprese italiane che continuano a soffrire i “tempi lunghi” dei pagamenti da parte della Pa che, seppur ridotti di circa il 47% negli ultimi sei anni, continuano a portare l’Italia, per questo tema specifico, in fondo alle classifiche europee, soprattutto se si guarda al comparto sanitario e ad alcune regioni del Sud (Campania, Calabria, Sicilia).
Non va meglio neanche sul fronte degli “adempimenti fiscali” così come persistono ancora grandi criticità nelle procedure della Giustizia, soprattutto con particolare riguardo al settore civile.
Permane, e si amplia, inoltre, la scarsa integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali sul territorio nella sanità preventiva, curativa e riabilitativa cosi’ come si confermano le disuguaglianze territoriali e sociali nella qualità delle cure e le carenze in termini di equità sociale, soprattutto relativamente ai tempi ed alle procedure di accesso ai servizi ed alla disponibilità dell’offerta sul territorio
In tema di prevenzione della corruzione risulta crescente il ruolo dell’ANAC che ha aiutato a ripensare il rapporto tra prevenzione della corruzione e qualità nei servizi pubblici con la finalità di dimostrare come la riduzione dei rischi di corruzione o di altre forme di illegalità concorra a un’allocazione ottimale delle risorse e alla prestazione di servizi adeguati ai cittadini
Sul fronte istruzione, luci ed ombre. Da un lato, infatti, si registra l’arresto del calo di immatricolazioni e un miglioramento in termini di produttività scientifica della ricerca gestita da operatori pubblici; dall’altro, si rileva il perdurante divario Nord-Sud nella qualità degli atenei in termini di ricerca e di didattica e una stasi degli investimenti in Ricerca e Sviluppo in Italia, di molto inferiori ai livelli europei. Molto insoddisfacenti appaiono poi i servizi forniti per gli studenti lavoratori e le attività di formazione post-laurea.
Nonostante tutto, però, il Rapporto dice che “la qualità dei servizi della Pubblica Amministrazione negli ultimi cinque anni è migliorata anche se si registrano differenze tra le diverse aree geografiche del Paese” e che “l’analisi dei principali indicatori posiziona l’Italia attorno alla media dei paesi OCSE e dell’UE”.
E continuando, si evidenzia nel documento del Cnel che “si sono registrati miglioramenti in termini di efficienza nel campo della sanità, della sicurezza, nonché nell’utilizzo delle energie rinnovabili”.
Tutto sommato, non ci si può lamentare allora. Ma si potrebbe fare molto meglio e di più. Come?
Il Cnel ritiene che a limitare l’azione della Pubblica Amministrazione italiana siano fattori organizzativi e culturali, per intervenire sui quali sarebbero necessari investimenti di lungo periodo in formazione mirata diretta ai responsabili degli uffici.
Ma il problema è che, come ha anche sottolineato il Presidente Treu nel suo odierno intervento, “il nostro Paese, ha tradizionalmente una scarsa cultura della valutazione” e questo gap, che certamente incide sulla “produzione” della pubblica amministrazione, ha bisogno di tempi molto lunghi per essere colmato.
E chissà se tutto questo tempo ancora c’è.