Ripresa troppo lenta. 600mila famiglie di soli disoccupati. Mancano oltre mezzo milione di giovani andati via. Lavorano gli over 55 e crescono i “working poor”
di Stefano Bruni
Ancora non ci siamo. E’ questo il verdetto contenuto nelle anticipazioni del Rapporto Svimez.
Non ci siamo né per quanto riguarda il tasso di crescita del Sud Italia né per quello a livello nazionale: solo il bel Paese (anche se in compagnia della Grecia) non è ancora ritornato ai livelli pre – crisi del Prodotto Interno Lordo.
In parte, dice la Svimez, dipende dalle caratteristiche delle imprese italiane quali, ad esempio, la ridotta dimensione media, la bassa spesa in ricerca e sviluppo, ma anche da altri fattori come il sistema di regole e comportamenti nei mercati, l’amministrazione e la gestione dei servizi pubblici, la dotazione di risorse infrastrutturali e di capitale umano.
Al Sud, poi, nonostante una crescita che nel 2017 ha fatto registrare soltanto un decimale in meno del Centro-Nord (1,4% contro 1,5%), si perde terreno e si avanza troppo lentamente per poter recuperare le conseguenze devastanti della crisi, tanto più che in prospettiva, se non interverranno misure importanti, si intravede per il 2019 una “grande frenata”.
Le conseguenze di uno scenario economico non brillante si vedono poi, immediatamente, sul tessuto sociale: “nel Mezzogiorno si delinea una dinamica sociale che tende a escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione”, soprattutto nelle periferie delle grandi aree metropolitane, ha detto la Svimez.
Infatti, tra il 2016 e il 2017, il numero di famiglie meridionali senza alcun occupato è cresciuto in media del 2% all’anno. Dal 2010 a oggi sono quasi raddoppiate, al Sud, le famiglie con tutti i componenti in cerca di occupazione (da 362 mila a 600mila). Forte è l’incidenza dell’andamento demografico, che vede il peso del Meridione scendere al 34,2%, anche per il minor numero di stranieri (nel 2017 erano 872 mila contro i 4 milioni 272mila del Centro-Nord).
I lavoratori sono invecchiati e si va sempre più affermando un “dualismo generazionale” importante: nel Sud il saldo negativo di 310 mila occupati, tra il 2008 e il 2017, è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità).
Neanche il lavoro, insomma, è più sufficiente ad arginare la povertà. L’incremento del numero di working poors (i cosiddetti lavoratori poveri) ne è la riprova. “La crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto alla complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante”.
A tutto ciò vanno aggiunti “il divario nei servizi pubblici”, in particolare in campo sanitario dove l’insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie del Sud, “la cittadinanza ‘limitata’ connessa alla mancata garanzia di livelli essenziali di prestazioni”, che incidono sulla “tenuta sociale dell’area” e rappresentano “il primo vincolo all’espansione del tessuto produttivo”.
In generale, va così. Ma se poi si “scava” nei dati delle singole regioni del Sud, si scopre che, come spesso accade, generalizzare non è una buona prassi. Il “grado di disomogeneità” del meridione è infatti piuttosto elevato, sia per settori che per Regioni. Calabria, Sardegna e Campania nel 2017 sono cresciute, rispettivamente, del 2%, dell’1,9% e dell’1,8%. Appena sotto la Puglia (+1,6%) e un po’ più indietro l’Abruzzo (+1,2%). La Basilicata ha registrato un +0,4%, forse scontando i precedenti anni di crescita intensa. Stesso incremento del Pil per la Sicilia, mentre il Molise è l’unica regione con un andamento negativo (-0,1%).
Passando ai vari settori produttivi emerge che nella maggior parte dei casi la crescita è stata trainata dalle costruzioni, in particolare opere pubbliche finanziate con i fondi europei, e dall’industria.
E questo probabilmente spiega perché il neo Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, abbia voluto rilanciare con forza il ruolo dei Fondi europei come leva di sviluppo e di crescita, riconoscendo comunque l’apporto positivo degli investimenti privati che nel 2017 sono cresciuti del 3,9%, consolidando il dato dell’anno precedente e superando, sia pure di poco, quello del Centro-Nord (+3,7%).
Gli investimenti pubblici, invece, sono lontanissimi dai livelli pre-crisi e la stessa spesa pubblica corrente si è ridotta del 7,1% al Sud, mentre nel resto del Paese è aumentata dello 0,5%.
Per tutto questo, dice la Svimez nelle proprie “considerazioni di sintesi”, servono “misure di incentivazioni agli investimenti più efficaci”, “l’attuazione di strumenti di intervento nel Mezzogiorno, già nel paniere del Governo, come l’istituzione di Zone economiche speciali nelle principali aree portuali, con incentivi fiscali e semplificazioni amministrative”, “una politica fiscale più espansiva per favorire il consolidamento della domanda interna”. Inoltre, conclude la Svimez, ” particolarmente opportuna appare l’indicazione del nuovo Ministro per il Sud di favorire l’attuazione della cosiddetta “clausola del 34%” per la spesa ordinaria in conto capitale (ancora inattuata) e, ancor di più, di estenderla al Settore Pubblico Allargato delle grandi aziende partecipate”.