I miliardi del RF sono un’occasione straordinaria da non perdere per rilanciare il Paese. Solo una pubblica amministrazione efficace, efficiente, con professionisti specializzati, può costituire il volano per la ripresa.
Il popolo italiano ha dalla sua l’arte di arrangiarsi, sempre. Durante i mondiali di calcio diventiamo tutti allenatori, in piena pandemia siamo tutti virologi e, perché no, in piena crisi di governo, fioccano scienziati della politica e chef dalla ricetta pronta per servire un gustoso Recovery Fund al sapore di milioni di euro.
Ognuno ha una ricetta miracolosa per utilizzare il RF ed agevolare il rilancio dell’Italia: 100 grammi di giustizia di qua, 150 grammi di sanità di là, 50 grammi di opere pubbliche, un pizzico di pubblica amministrazione, e voilà, il piatto è servito.
Il punto, però, è sempre e solo uno: occorre riformare senza indugio la pubblica amministrazione. Solo una pubblica amministrazione efficace, efficiente, con professionisti specializzati, può costituire il volano per la ripresa. Troppi dimenticano che, per fare un esempio, sanità e giustizia sono pubbliche amministrazioni, composte di pubblici dipendenti, al pari dei Comuni, delle Regioni, dell’Inps, dell’Inail, e così via. E’ questo il punto di partenza e il punto di arrivo. Se dunque si vogliono utilizzare cum grano salis i 200 miliardi del RF occorre partire da qui.
Sull’efficienza e i costi della giustizia amministrativa, ciclicamente additata come “problema”, si è scritto e detto tanto, spesso basandosi più sui pregiudizi che su dati reali. Partiamo quindi da alcuni numeri indiscutibili che non tutti gli italiani conoscono. La Pubblica Amministrazione è vittoriosa in oltre l’80% dei giudizi amministrativi patrocinati (almeno per quanto riguarda il patrocinio curato dalle Avvocature), sia innanzi ai Tar che in Consiglio di Stato. Si tratta di un successo importante che, a fronte di costi contenuti per la collettività, conferma che la giustizia amministrativa italiana e di conseguenza la PA, in genere funzionano.
I tempi per un giudizio cautelare sono in genere contenuti nei 20 giorni dal deposito del ricorso e la decisione si ha il giorno stesso o il giorno successivo l’udienza. Tempi che la giustizia ordinaria non si sogna neppure.
La politica, a vario titolo e a varie riprese, ha tentato di mettere mano alla riforma dei Tar, accusati di essere uno dei veri problemi della giustizia italiana perché “poco accessibili e troppo costosi“. In realtà, forse per decisioni poco gradite, ci provò Romano Prodi, quando nel 2013 sostenne che l’abolizione del Tar e del Consiglio di Stato avrebbe avuto un immediato segno positivo sul Pil del Paese con un risparmio immediato del 5%. Nel 2017 è toccato a Renzi auspicare un ridimensionamento dei Tar, dimenticando però che per abolirli era necessaria una riforma costituzionale e nel referendum da lui proposto il tema della giustizia amministrativa non venne neppure menzionato.
E’ recente l’incontro promosso da Assonime (4 gennaio 2021), nel cui contesto i “professori”, quelli veri, hanno esposto anch’essi le loro di ricette, che ovviamente in cima a tutto evocano la necessità di una “governance ad hoc”, magari meglio se composta da loro, “per non sprecare un’occasione storica” e creare una struttura straordinaria per coordinare gli interventi relativi alla Next Generation EU.
Grandi personalità ultrasettantenni vorrebbero gestire 200 miliardi di interventi e riforme per le “nuove generazioni” dell’Unione europea, volgendo lo sguardo alla banca del Mezzogiorno creata da De Gasperi per la ripresa del dopoguerra o al Piano Marshall, mentre stiamo correndo a perdi fiato nell’era del digitale, della globalizzazione, dello Spid, del cashback, ecc.
Ancora una volta non si costruisce futuro, ma si ragiona in maniera aulica di passato.
Il vero tema – la riforma della Pubblica amministrazione nel suo complesso di funzioni – ancora una volta rimane in ombra. Di esso affiora solo uno dei titoli, “riforma della giustizia”, che periodicamente ricorre e di norma in coincidenza con la pubblicazione di dati sui conti pubblici interni o esteri.
Si pensi all’intervista del 15 dicembre 2020 con cui Carlo Cottarelli ebbe a dire a Il Dubbio che “la giustizia deve essere prioritaria nel piano Recovery”, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione da parte dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani che dirige, di dati ancora una volta preoccupanti, ancorché lievemente migliorati. Due settimane prima, il 28 novembre, infatti, l’Osservatorio C.P.I. stimava che, nonostante l’ultimo rapporto della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ), abbia rilevato una riduzione nel numero e nella durata dei procedimenti civili pendenti nel biennio 2017-18, “la giustizia civile italiana resta tra le più lente d’Europa: siamo ancora gli ultimi in terzo grado di giudizio e siamo diventati penultimi sia in primo sia in secondo grado, rispettivamente davanti a Malta e Grecia”.
Impietosamente prosegue l’analisi l’Osservatorio C.P.I. precisando che “la lentezza della giustizia, in particolare in ambito civile, è uno dei principali problemi strutturali dell’Italia. L’inefficienza del nostro sistema giudiziario scoraggia gli investimenti, aumenta il costo del credito e riduce il tasso di occupazione e di partecipazione al mercato del lavoro”. Ma non ci si illuda che i giudizi poco lusinghieri da parte dei “professori” riguardino solo la giustizia ordinaria. Ed ecco ripresi dai “grandi vecchi” i vecchi temi che vedono nell’eliminazione di certe giurisdizioni la risoluzione del problema della giustizia. Ed allora via con il prof. Cassese, in passato acutissimo redattore di uno dei migliori rapporti sulle possibili riforme della P.A. ancora oggi attualissimo, che ritiene che l’obiettivo di “rapidità” si otterrebbe “liberandosi della Corte dei Conti e dell’Anac”. Fuori due.
A ciò si aggiunge il prof. Prodi rispolverando il tema a lui caro, secondo cui “sospendendo il TAR cresceremmo subito del 5%”. Impostazione, questa, ripresa come detto alcuni anni dopo dal governo Renzi.
Nelle sopra menzionate analisi meno recenti e più recenti, comunque frettolose, disancorate ai dati ed alle evoluzioni digitali ed emergenziali, evidentemente è sfuggito che, anche una volta aboliti i Tar e modificato l’assetto ordinamentale della giustizia, il contenzioso amministrativo non sparirebbe, cambierebbe solo giudice. Così come il contenzioso contabile, pensionistico o tributario: diventerebbero contenzioso civile, ed affollerebbe di nuovi ed ulteriori giudizi riguardanti la regolazione di rapporti non più amministrativi, ma di diritto comune, tra cittadini e organi preposti al governo della cosa pubblica, magari affidati a giudici inesperti di pubblica amministrazione con guasti, in tal caso sì, irrimediabili sia per le conseguenze, che sui tempi e, infine, sull’efficienza già piuttosto bassa dei tribunali.
Chi ha esperienza in materia e sa di cosa parla, basta che rammenti la devoluzione del contenzioso del lavoro pubblico contrattualizzato al giudice ordinario per provare orrore.
Né va dimenticato, anzi va con forza sottolineato, che nella attuale situazione sociale determinata dalla Pandemia, l’unica “giurisdizione” che ha continuato a funzionare con la medesima efficienza di sempre, adeguandosi con prontezza, rapidità, competenza al processo da remoto con regole certe, condivise con tutti gli attori del processo, è stata la Giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato). Con enormi risparmi per i cittadini: se il loro ricorso è trattato direttamente dal pc dello studio del loro avvocato, risparmieranno trasferte, viaggi, eccetera. Di questo certamente economisti o politici un po’ attempati, lasciatecelo dire, non hanno precisa contezza.
Quanto al tema dei costi e dell’accessibilità della giustizia, ai critici andrebbe precisato che, a differenza del giudizio penale, il giudizio amministrativo non viene avviato d’ufficio da un magistrato o da un tribunale, ma l’azione è su impulso della parte.
In altre parole, se vi sono molti giudizi innanzi ai Tar è perché molti cittadini propongono ricorsi e non si può impedire loro di procurarsi giustizia laddove si ritengano lesi, se non comprimendo un ineludibile diritto costituzionale.