Il leader della Lega pensa al “reddito di autonomia”. Ecco come funzione. Intanto, sulla Fornero possibili soltanto correttivi
di Stefano Bruni
Matteo Salvini, nelle ultime ore, ha aperto timidamente al reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia della campagna elettorale dei pentastellati: “Se fosse pagare la gente per stare a casa, dico no. Ma per reintrodurre nel mondo del lavoro chi ne è uscito, allora si”. Messaggio in codice insomma per gli altri leader, ma soprattutto per Luigi Di Maio che dicendosi disposto a dialogare con tutti ha precisato: «tutti quelli che condividono le priorità dei 5 Stelle».
Dunque si scaldano i motori delle “consultazioni” e un primo, importante terreno di confronto è il reddito di cittadinanza. Salvini è stato chiaro, no a provvedimenti di tipo assistenzialistico e probabilmente ha già in mente un degno sostituto della proposta targata M5S: il “reddito di autonomia”.
Il reddito di autonomia è una misura introdotta esattamente due anni fa nella Regione Lombardia guidata da Roberto Maroni che punta a favorire l’autonomia delle persone e a garantire opportunità reali di inclusione sociale andando oltre le azioni di integrazione al reddito.
Per scoprire qualche cosa in più, basta andare sul sito della Regione e leggere le caratteristiche di questo programma: “Un primo esempio di politiche integrate che vedono al centro le persone e le famiglie, riconoscendo ai soggetti in difficoltà ulteriori opportunità di accesso alle prestazioni in ambito sanitario, sociale, abitativo e di ricerca attiva del lavoro”.
L’intervento regionale si sviluppa lungo quattro direttrici: l’esenzione dal super ticket sulle prestazioni sanitarie di specialistica ambulatoriale, un Bonus famiglia pari a 1.800 € per figlio (anche in caso di adozione) per sostenere la maternità e i percorsi di crescita dei nuovi nati, l’azzeramento della retta pagata dalla famiglia per i nidi pubblici o per i posti in nidi privati convenzionati con il pubblico, ad integrazione dell’abbattimento già riconosciuto dai Comuni, il Progetto di Inserimento Lavorativo – PIL , che prevede fino ad un massimo di 1.800 euro in 6 mesi a titolo di indennità di partecipazione, per la fruizione di servizi di politica attiva di orientamento, accompagnamento e formazione previsti da Dote Unica Lavoro. Naturalmente, tutto subordinato al possesso di alcuni specifici requisiti di accesso.
Insomma, una cosa un po’ diversa dal reddito di cittadinanza grillino, ma non distante anni luce, purchè si trovino le adeguate coperture finanziarie.
Altro terreno sul quale ci si dovrà misurare è quello della legge Fornero, la cui abolizione è stata promessa da Salvini in campagna elettorale.
Sul tema si è espresso in questi giorni il Presidente dell’Inps Tito Boeri sostenendo che abolirla avrebbe un costo insostenibile, dal punto di vista economico, ma anche sociale per le conseguenze che genererebbe sulle nuove generazioni. Lo stesso Boeri, però, si è detto persuaso che alcuni correttivi potrebbero essere apportati, soprattutto per agevolare i più giovani.
E più o meno sulla stessa linea Salvini-Di Maio, si troverebbero i sindacati che l’altro giorno hanno parlato per bocca di Susanna Camusso: “Con Cisl e Uil abbiamo una proposta comune: partiamo dalla pensione di garanzia per i giovani e risolviamo le storture e le ingiustizie della legge Fornero”. Vorremmo discutere di questo – ha aggiunto la Segretaria della Cgil – ma serve un Governo”.
Insomma, che sia ircocervo o sarchiapone, un Governo ci vuole. E deve essere credibile e sufficientemente duraturo per consentire all’Italia di sfruttare la ripresa economica ed evitare di essere super sorvegliato speciale dell’Europa.
Tutto questo, naturalmente, Mattarella lo sa benissimo.