Reddito di cittadinanza e flat tax sono due misure talmente differenti che rendono praticamente impossibile una sintesi. LabParlamento e CheckPoint Promesse cercheranno di fornire al pubblico le risposte alle istanze di quell’elettorato che, lo scorso 4 marzo, ha premiato M5S e Lega
Reddito di cittadinanza e flat tax sono stati i cavalli di Troia che hanno permesso a Movimento 5 stelle e Lega di sbancare alle elezioni. Il pubblico di riferimento di due misure così diverse, se non antitetiche, hanno costretto queste forze politiche a trovare una sintesi la cui declinazione è oggi ancora in fase di rodaggio.
Alleviare, con un sussidio economico, lo stato di indigenza e povertà che ancora investe molti strati della popolazione da una parte e detassare contemporaneamente il reddito di impresa e dei professionisti con una aliquota uguale per tutti dall’altra rendono chiara l’idea di quanto le esigenze sociali e territoriali della maggioranza bifronte siano lontane tra loro. Per questo, che in fase di traduzione di tali promesse, siano emerse numerose contraddizioni non ha stupito nessuno o quasi. Eppure l’elettorato che ha premiato l’uno o l’altro partito reclama ora la sua ricompensa: poca, maledetta e subito.
Forse l’ha spuntata il M5S che, al netto dei ritardi previsti nell’attuazione di una misura che si annuncia – e che sarà nei fatti – rivoluzionaria, potrà rivendicare, magari in fase di campagna elettorale per le europee, l’aver mantenuto la propria promessa. E diciamo “forse” perché, nonostante l’approvazione della manovra, i dettagli appaiono ancora poco chiari.
Rimane certo l’incognita di quanto, quello che da taluni viene ritenuto un indiretto finanziamento della disoccupazione, possa produrre ricchezza per il Paese, e cioè l’unico vero obiettivo che qualsiasi governante dovrebbe porsi in una fase finanziaria. Ci si chiede, da più parti, quali incentivi potranno dissuadere il “cittadino qualunque” dal rinunciare al reddito di cittadinanza per accettare, invece, una proposta di lavoro o mettersi alla ricerca di una nuova occupazione. Ma, d’altra parte c’è l’esempio europeo, dove iniziative simili hanno pure conosciuto un discreto successo. Il mantenimento di un controllo ai limiti dello Stato di polizia – inaugurato negli anni della grande crisi – sulle finanze private, sui conti correnti, sul segreto bancario, sul reddito di ciascuno di noi, al fine di combattere l’evasione fiscale e l’elusione tributaria mal si confà ad un ritorno della stagione dei finanziamenti assistenziali a pioggia proprio laddove, e il Mezzogiorno ne sa qualcosa, misure simili di un passato poco felice non abbiano prodotto miglioramenti né sotto l’aspetto produttivo né, tantomeno, dal punto di vista sociale. Ne è la riprova il tentativo (o la pretesa) di voler controllare come e dove verranno investite le risorse derivanti dal reddito di cittadinanza. Staremo a vedere.
Altro discorso, invece, è la flat tax che potrebbe sulla carta ottenere un effetto-domino positivo sull’occupazione e sul reinvestimento dei capitali destinati alla forza lavoro e allo sviluppo ma che rimarrebbe, allo stesso tempo, specie con l’impianto normativo tributario attuale, un unicum all’interno di un sistema di tassazione certo non benevolo nei confronti di chi ha oggi la disgrazia di aprire una Partita Iva. Diciamocelo chiaramente: l’evasione fiscale in Italia non ha subito alcun calo, nonostante la copiosa attività legislativa mirata a disincentivarne la proliferazione. E questo perché la tassazione – a fronte di regole più stringenti – non solo non è diminuita ma nel corso degli anni è addirittura aumentata. Chi evadeva un tempo evade tutt’oggi, magari investendo denaro su un metodo di elusione più efficace. Risorse che, con una tassazione più civile, si sarebbe potuto magari reinvestire su quell’economia circolare di cui tanti amano parlare a sproposito. La schizofrenia legislativa degli ultimi decenni non ha certo aiutato la produttività, ancora ingessata da un apparato burocratico che non ha precedenti in uno Stato occidentale che si proclama liberal-democratico. E non è un caso che due misure che strizzano l’occhio, anche legittimamente sotto il rispettivo punto di vista politico, ad un proto-socialismo e ad un proto-liberismo, così messe assieme, abbiano rischiato di far slittare dopo il Capodanno l’approvazione della manovra. Mai in una finanziaria del passato programmi così divergenti avrebbero potuto convivere: eppure l’eccezionalità che pervade ogni scandire di questa terza repubblica lo ha oggi permesso. Ma il tentativo di investire la rispettiva credibilità su due temi sempre residuali nelle politiche del passato, la povertà e l’eccessivo carico fiscale sui piccoli professionisti, merita oggi la rottura degli schemi. E quindi tutta l’attenzione possibile.
Il vero oste con cui fare i conti è il nostro abnorme debito pubblico, il vero padrone di ogni buon proposito politico che condiziona, in peggio, le migliori intenzioni di questo o quel partito. E le esigue finanze a disposizione per due misure così lontane sono l’esatto motivo per il quale, sette mesi dopo, M5S e Lega sono in guerra fredda tra loro.
Il nostro giornale cercherà con questa inchiesta di chiarire le contraddizioni e le false verità che la propaganda – pro e contro il governo – va inondando la rete e gli organi di informazione in vista di un capitale – elettorale e mediatico – da spartire nel prossimo futuro. Proveremo anche, grazie alla collaborazione scientifica di un team di studiosi e analisti di comprovato equilibrio, a spiegarvi come certe misure coincidano (o meno) con le promesse elettorali che hanno deciso il verdetto dello scorso 4 marzo.
Che fine hanno fatto il reddito di cittadinanza e la flat tax? LabParlamento e CheckPoint Promesse cercheranno di offrirvi un quadro equilibrato su una risposta mai così difficile da fornire al pubblico informato. Ci proveremo.