Paolo Balduzzi, docente all’Università Cattolica, illustra a LabParlamento rischi e reali motivazioni del referendum in Lombardia e Veneto
di Valentina Magri
“Dato che il referendum chiede ai cittadini di Lombardia e Veneto se vogliano più autonomia, per me è scontato che vinca il sì. La battaglia politica dei referendari sarà sulla partecipazione al voto. Se poche persone andranno a votare, si rischia di fallire un iter che avrebbe potuto iniziare senza problemi”. La pensa così Paolo Balduzzi, ricercatore e docente di Scienza delle Finanze presso l’Università Cattolica di Milano, nonché membro del comitato di redazione del sito di informazione economica lavoce.info.
Lei ha definito il referendum in Lombardia e Veneto una “fiera dell’inutilità”. Per quale motivo?
“Lo giudico inutile dal punto di vista costituzionale e procedurale perché la Costituzione per attivare l’iter per la richiesta maggiore autonomia da parte delle regioni a statuto ordinario non prevede un referendum. Basta un’iniziativa della regione interessata, che dovrebbe prendere la decisione a livello locale e poi recarsi dal Governo a trattare. Poi il Parlamento a maggioranza qualificata deciderà quando finire la trattativa. L’Emilia Romagna ha infatti iniziato l’iter per una autonomia senza indire un referendum. Anche la Lombardia ha fatto lo stesso in passato. I referendari sostengono che siccome i tentativi passati sono finiti in un nulla di fatto, vogliono attribuire una valenza politica al referendum”.
“Un ultimo aspetto inutile del referendum è il quorum per la validità del referendum stabilito dal Veneto, anche se il quorum non ha ragione di esistere per un referendum consultivo”.
Quali sono secondo lei le reali ragioni dietro al referendum?
“Sono di tipo politico, non solo dal punto di vista territoriale ma anche elettorale. Indire un referendum a 6 mesi dalle elezioni regionali però lo fa apparire come una mossa più elettorale che territoriale e questo potrebbe rendere il referendum controproducente: se andasse male, temo che per almeno 10-15 anni in Lombardia non si parlerà più di autonomia”.
Su lavoce.info parla di una “campagna elettorale farcita di esagerazioni e inesattezze”. Può farci qualche esempio?
“È in corso una discussione sui residui fiscali, dati dalla differenza tra quanto una regione invia allo Stato centrale in termini di imposte e quanto lo Stato spende a livello locale. È abbastanza facile calcolare il primo termine, ma meno il secondo, che varia in base alle ipotesi di redistribuzione dei fondi sui territori. I referendari hanno deciso di diffondere la cifra più elevata di residuo fiscale (57 miliardi), anche se io nelle fonti da loro ho visto che si parla di 47 miliardi, mentre altri studi li stimano attorno ai 20-30 miliardi. Un’altra inesattezza consiste nel far credere che con questo referendum si ridurrebbe il residuo fiscale: se la regione tiene per sé parte delle risorse prima mandate a Roma, Roma ne spenderà meno sul territorio. Le altre promesse sull’abbassamento delle imposte potrebbero concretizzarsi solo nel lungo periodo se le regioni saranno capaci di gestire meglio le risorse”.
In caso di vittoria del sì, il Governo a suo avviso terrà conto dell’esito del referendum?
“Se basta un referendum per avere maggiore autonomia, c’è il rischio di un effetto domino sulle altre regioni. Ma lo Stato non sarebbe disposto a cedere maggiore autonomia a tutti. Anticipando questo effetto, temo che Roma darà poco valore a questo referendum. Se concederà maggiore autonomia alla Lombardia e al Veneto, lo farà sulla base di altri criteri”.