Ritengo più che opinabile l’idem sentire secondo cui, in Italia, non ci sarebbe una cultura referendaria. Seppur abrogativi, hanno spesso avuto la forza di fungere quali strumenti per il lancio di messaggi politici dal basso. Riuscendo finanche a plasmare l’opinione pubblica italiana per come la conosciamo oggi.
Divorzio, aborto, nucleare, finanziamento ai partiti: sono solo alcune delle questioni che, per mezzo del referendum, hanno consentito agli italiani e alle italiane di definire i propri spazi nazional-popolari.
Fatta questa premessa, ci ritroviamo a commentare il referendum più deludente della storia. Un 20% che lo annovera nella hall of fame della storia repubblicana: mai un’affluenza così bassa per un quesito referendario. Ma quali sono state le motivazioni che lo hanno reso così poco attrattivo?
LA NON PERCEZIONE
I cinque quesiti erano indubbiamente tecnici e di non facile comprensione. Ma indicare questo quale fatto indicente rischia di creare uno specchietto per le allodole che distrae dal vero problema.
Mi riferisco, ad esempio, al fatto che quello della giustizia potrebbe essere un problema non percepito dall’opinione pubblica. CSM, membri togati e sistemi correntizi sono, probabilmente, problemi troppo lontani da quello che viene bislaccamente chiamato paese reale. L’incidenza della percezione è confermata dallo storico dei referendum in Italia: divorzio ed aborto hanno raggiunto il quorum, la questione delle trivelle no; il tema nucleare tanto centrale nel dibattito post Chernobyl ha raggiunto il quorum, quello sull’ordine dei giornalisti no.
Così come quello sulle carriere dei magistrati, già proposto nel 1997 dai Radicali, e non capace di raggiungere il quorum. Repetita iuvant. È vero che la storia non si fa con i se e con i ma, ma se volessimo fare il gioco del what if potremmo chiederci: come sarebbe andata se insieme ai cinque quesiti sulla giustizia si sarebbe dovuto votare anche per eutanasia e cannabis? Il più di un milione di firme digitali raggiunte nei mesi addietro suggeriscono, in un campo che rimane circoscritto a quello delle ipotesi, una possibile risposta.
LA NON MEDIATIZZAZIONE
Il referendum è stato poco pubblicizzato, poco spinto, poco mediatizzato. Parte della motivazione trova spiegazione nelle stesse regole del gioco: chi è per il sì deve faticare per convincere le persone ad andare a votare, chi è per il no non ha necessità di fare sforzi in termini comunicativi. Basterà loro – come dicono Diamanti e De Gregorio nel loro nuovo podcast – fingersi morti.
La Lega ha spinto, forse nemmeno troppo, ma le fronde del no sono rimaste in silenzio: Movimento 5 Stelle e Partito Democratico nell’espressione di taluni pezzi. La non polarizzazione di questo referendum ha arenato i quesiti in un campo tiepido, non conteso, che non ha dato alle persone una ragione davvero valida per battersi con e in rappresentanza di un vessillo. E così, i quesiti, non hanno avuto quella forza di permeare nei mezzi mediali fino ad instillarsi cognitivamente nella coscienza collettiva.
LA NON UTILITA’
I due anni di pandemia hanno accresciuto una sorta di depoliticizzazione: le persone, forse più che sfiduciate, si percepiscono politicamente ininfluenti. E quindi, non compiono azioni politiche. Nemmeno votano. Questo aspetto si enfatizza, senza dubbio, al cospetto di un referendum poco influente per via di una riforma della giustizia già in essere.
La riforma Cartabia, infatti, tocca tre dei cinque quesiti referendari. “A cosa serve, dunque, votare?” potrebbe essere un problema che il cittadino
, durante la colazione di domenica mattina, potrebbe essersi posto. Un problema non necessariamente fondato – e per questo invito a leggere le considerazioni di Stefano Ceccanti che ha dettagliatamente esposto le due linee di azione di referendum e riforma Cartabbia – ma comunque un problema. Non credo sia un caso che i due quesiti più appetibili siano stati quelli non riconducibili alla legge Cartabia: abolizione legge Severino e limitazione delle misure cautelari. In questo senso l’Italia si riscopre, forse, visto le percentuali di ‘NO’, antipolitica e giustizialista. Ma trattasi, vista la scarsa affluenza, di un’ipotesi non dimostrabile.
Una sensazione quasi-statistica, per dirla alla Neumann. Vedremo se le pieghe della storia, magari per mezzo di altri referendum, daranno qualche risposta.