Il centrodestra si conferma egemone in Lombardia, la Lega doppia Forza Italia. Il governatore del Lazio è il primo a mantenere l’incarico: sarà il successore di Renzi?
Netta affermazione di Attilio Fontana in Lombardia con quasi il 50% dei voti e successo sul filo di lana per Nicola Zingaretti nel Lazio, dove il governatore uscente ha ottenuto il 33,2% delle preferenze. Questo, per quanto riguarda i Presidenti, è stato il responso delle due elezioni Regionali che hanno accompagnato il rinnovo di Camera e Senato.
Partendo dal voto lombardo, neanche la rinuncia di Roberto Maroni a correre per il secondo mandato ha influenzato una competizione che si è rivelata a sorpresa senza storia. L’ex sindaco di Varese Fontana, infatti, non solo ha staccato di oltre 20 punti Gori, ma in termini assoluti ha perfino superato i consensi raccolti nel 2013 da Maroni, potendo vantare circa 2.800.000 schede (il suo predecessore era stato votato da poco meno di 2,5 milioni di cittadini).
Dunque, si conferma l’egemonia del centrodestra, che dal 1995 a oggi ha sempre saputo portare il proprio candidato al Pirellone. Attilio Fontana sarà il secondo governatore della Lombardia proveniente dalla Lega, il cui predominio sulla coalizione è sancito dal doppio delle preferenze ottenute rispetto a Forza Italia: 1,5 milioni contro 750 mila, pari rispettivamente al 29,6% e al 14,3% dei voti. Sul contesto della regione sembra aver pesato quanto accaduto su scala nazionale, con lo storico sorpasso di Matteo Salvini su Silvio Berlusconi, tanto che sono stati spazzati via i dubbi della vigilia sulla notorietà di Fontana e le polemiche su alcune dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale.
Bruciante la delusione per Giorgio Gori, fermo a poco più di 1,6 milioni di schede, 500 mila in meno della performance di Umberto Ambrosoli nel 2013. L’ex dirigente Mediaset veniva accreditato di buoni numeri dai sondaggi, dovuti alla sua potenziale capacità di attrarre elettori moderati con un profilo pragmatico e trasversale. “Troppo forte il vento contro” è stato il commento del primo cittadino di Bergamo, che per motivare la sua chiara sconfitta non può neanche appellarsi alla ‘concorrenza’ di Onorio Rosati di Liberi e Uguali, irrilevante con il suo 1,9. Al di là delle dinamiche delle elezioni Politiche, il limitato seguito del centrosinistra in Lombardia è una costante ultraventennale e appare a questo punto dovuta a una poca comprensione dei territori, eccezion fatta per Milano e alcuni capoluoghi di provincia.
Per quanto in crescita rispetto a cinque anni fa (circa 1 milione di voti a fronte di 780 mila), il Movimento 5 Stelle conferma la propria debolezza strutturale nel Nord Italia. Il 17,4% messo assieme da Dario Violi, in linea con i risultati riportati dai pentastellati nei collegi lombardi di Camera e Senato, testimonia che finora il messaggio dell’M5S si è rivelato poco adatto alle realtà più avanzate del Paese e che meglio delle altre hanno saputo reagire alla crisi. A questo si sommano le consuete difficoltà del Movimento in occasione di competizioni amministrative, dove i consensi sono più legati alle persone e ai loro trascorsi. Da questo punto di vista, una forza composta da neofiti della politica non può che essere in una posizione di svantaggio.
Passando al Lazio, con la riconferma di Zingaretti si spezza la ‘maledizione’ che aveva visto la Regione cambiare colore in tutte le ultime tornate elettorali. Con poco più di 1 milione di consensi il presidente uscente ha compiuto una sorta di ‘miracolo’, conquistando in una giornata molto negativa per il Partito Democratico 300 mila voti in più di quanto totalizzato dal centrosinistra nella corsa per Montecitorio, decisivi per la permanenza alla Pisana. Non è la prima volta che Nicola Zingaretti ottiene un successo personale a fronte di una sconfitta del suo partito: già nel 2008, infatti, fu in grado di aggiudicarsi le elezioni per la Provincia di Roma malgrado il contestuale insuccesso di Francesco Rutelli al Comune.
Tuttavia, la riforma elettorale approvata nei mesi scorsi nel Lazio non è certo che assegni a Zingaretti una maggioranza in Consiglio Regionale, dato lo scarto limitato tra Centrosinistra, Centrodestra e M5S. In base ai primi calcoli, la coalizione vincitrice dovrebbe disporre di 25 seggi su 50, non sufficienti per controllare l’Assemblea.
Questa capacità di “resistere” a tendenze nazionali e influssi esterni è in parte dovuta alla sua abilità di aggregare tutte le formazioni e gli ambienti del centrosinistra, anche lontani dalla sua storia personale (il governatore proviene dalla tradizione del Pci-Pds-Ds). In questa circostanza Zingaretti ha saputo perfino ricomporre sul piano locale la frattura tra Pd e LeU, facendo leva sulla propria autonomia rispetto a Matteo Renzi, testimoniata dall’appoggio ad Andrea Orlando in occasione del Congresso dem del 2017.
Proprio la vittoria conquistata ieri potrebbe lanciare la candidatura del ‘fratello del commissario Montalbano’ (il personaggio televisivo è interpretato da Luca Zingaretti) a successore dello stesso Renzi, quando verrà risolto il rebus delle nuove primarie Pd. Il diretto interessato ha affermato pochi minuti fa che “nei prossimi 5 anni sarò il Presidente della Regione Lazio, perché è per quello che i cittadini mi hanno eletto”, ma non va sottovalutato il seguito di cui dispone tra i dirigenti del partito; in tal senso, non deve sfuggire il tweet di congratulazioni riservatogli da Paolo Gentiloni, secondo il quale Zingaretti rappresenta “la sinistra di governo che vince anche quando è davvero difficile”.
Si è fermata a 50 mila consensi dalla vittoria la corsa di Stefano Parisi, il cui 31, 5% rappresenta un risultato non da poco se si pensa al ritardo con cui il centrodestra laziale ha trovato l’accordo sul candidato presidente. Per quanto abbia beneficiato del traino nazionale, Parisi ha migliorato lo score di Francesco Storace nel 2013 (964 mila schede contro 960 mila) e può recriminare per i consensi sottratti da Sergio Pirozzi al campo conservatore, in presenza dei quali l’ex ad di Fastweb avrebbe evitato un epilogo simile a quello delle Comunali di Milano nel 2016, quando al ballottaggio venne superato di misura da Giuseppe Sala.
Al di sotto delle aspettative è stato invece il dato di Roberta Lombardi, che in un contesto dove i grillini governano non pochi comuni (a partire da Roma) aveva legittime ambizioni di vittoria. I suoi 834 mila voti, pari al 27,3%, sono un passo avanti rispetto ai 661 mila delle scorse Regionali, ma insufficienti per evitarle il terzo posto. In base al limite dei due mandati previsto dalle regole del Movimento, l’ex deputata concluderà la sua esperienza politica come consigliera di opposizione.