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Cinque lettere, due numeri, il Covid-19 è da mesi entrato nelle nostre vite e, volente o nolente, ha profondamente cambiato abitudini e modi di vivere. Basti pensare a quanto ciascuno di noi fosse stranito, in passato, alla vista di qualche turista munito di mascherina, in giro per le grandi città. Stessa mascherina che oggi è immancabile complemento nel dress code di ognuno. Nonostante i vari modi di indossarla -ma solo una è la versione corretta, coprendo sia il naso che la bocca- la mascherina è stata una valida alleata, senza dimenticare il distanziamento sociale e la corretta igiene delle mani, alla limitazione della diffusione del virus.
Quando, due anni fa, ho conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia, non immaginavo si potesse presentare, di lì a poco, la necessità di combattere ad armi più o meno pari una pandemia come quella che abbiamo, e ahinoi stiamo ancora, vivendo. Nella realtà dei fatti le armi con le quali ci siamo trovati a combattere sono state tutt’altro che pari: il virus è arrivato senza preavviso, e nemmeno i più esperti sono stati, in un primo momento, in grado di capire il meccanismo fisiopatologico col quale il patogeno causava i danni all’organismo, ormai tristemente famosi ai più. A proposito di abitudini completamente sovvertite, nessuno immaginava di dover rimanere chiuso per settimane nella la propria abitazione, a convivere con i propri familiari o nella solitudine più completa.
Nell’ultimo periodo la vita termina alle 22, col coprifuoco, termine che fino ad un anno fa rimandava direttamente al periodo della guerra e che, per fortuna, era presente pressoché solo nei libri di storia. Anche il vocabolario, quindi, ha subito delle variazioni: lock-down, pandemia, epidemia, assembramento, tamponi, sierologici, positività. Ciascuno di questi termini ha acquisito un significato diverso rispetto a quello che gli attribuivamo in epoca pre-Covid19. Pur non avendo mai nutrito dubbi circa la gravità della malattia Covid-19 relata, la cosa che mi ha più colpito, nell’ammalarmi io stesso, è stata la modalità subdola con la quale il virus si insinua e da le proprie manifestazioni cliniche. La predita del gusto e dell’olfatto (ageusia ed anosmia, in gergo) pur non essendo i sintomi più gravi del contagio, sono quelli che ho ritenuto i più ingannevoli. Da una parte si pensa di essere suggestionati, essendo i sintomi più caratteristici e più discussi, dall’altra ci si trova a dover affrontare la perdita di due sensi atavici, esperienza per la quale la mente umana non è, decisamente, pronta.
Dov’è stato l’errore nella gestione del coronavirus? Quali sono state le falle del sistema? La cosa che è mancata è stata dal mio punto di vista la preparazione: era davvero così astratta la possibilità di un’epidemia che si abbattesse sulla popolazione mondiale, o si sarebbero dovuti preparare dei piani di prevenzione o quantomeno di attacco meglio strutturati?
Se da una parte il virus ha segnato il primo goal contro la scienza, colta alla sprovvista dal suo arrivo, dall’altro la rivincita non ha tardato ad arrivare. In tempi record i laboratori di tutto il mondo hanno iniziato a lavorare ad un vaccino efficace e sicuro che, per nostra fortuna, è già stato somministrato a milioni di persone nel mondo. Ancora più importante, oltre a prevenzione e velocità di risposta dei meccanismi di diagnosi e trattamento della malattia è, però, l’univocità di consenso da parte del mondo scientifico: in un momento di grande confusione, paura e incertezza rispetto al futuro (alimentata anche dalla crisi economica che è conseguita alla pandemia) è necessario affidarsi agli esperti che hanno il compito di dettare le linee guida comportamentali.
La sicurezza dei vaccini, ad esempio, non deve essere messa in dubbio: in questo momento la parola degli esperti acquisisce un valore ancora maggiore ed è importante sia chiara ai pazienti ed alla popolazione e condivisa dai colleghi. La fiducia nella scienza, quindi, in epoca Covid-19 rimane l’arma più efficace, nella quale riporre la speranza di un rapido alla normalità perseguibile, secondo le attuali conoscenze, solo mediante il raggiungimento di un’ampia copertura vaccinale.