di Francesco Scolaro
Sin dalle prime battute dei lavori nell’Aula del Senato è stato evidente che il cammino parlamentare del disegno di legge di riforma della Costituzione non sarebbe stato affatto agevole e privo di intoppi. L’atteggiamento iniziale del Governo, contrario a qualsiasi apertura al dialogo e, di riflesso, l’ostruzionismo delle opposizioni hanno prodotto come effetto immediato uno stallo pressoché totale dei lavori.
L’esame e la votazione dei 7.850 emendamenti presentati al DdL sarebbero dovute iniziare nella seduta di lunedì 21 luglio, ma venerdì 24 luglio gli emendamenti votati erano solo 5. Questa situazione critica ha fatto salire la tensione tra il Governo, i Gruppi della maggioranza e le opposizioni fino alla drastica decisione presa dalla Conferenza dei Capigruppo del Senato il 24 luglio: tempi contingentati, sedute dell’Aula dalle ore 9.30 alle ore 24 per tutti i giorni della settimana, sabato e domenica compresi, fino a venerdì 8 agosto quando dovrebbe arrivare il voto finale.
Mentre il Governo chiedeva un ritiro “sostanzioso” degli emendamenti come base dalla quale ripartire con il dialogo, alcuni senatori delle opposizioni (SEL, Lega Nord e M5S) inscenavano una clamorosa marcia verso il Quirinale con l’obiettivo di manifestare la loro preoccupazione al Capo dello Stato per la strada scelta dal Governo di imbrigliare la discussione della riforma in Aula. Quello che inizialmente sembrava un “muro contro muro” destinato a prolungare lo scontro sine die è andato via via trasformandosi in un ricorrersi di appelli alla distensione e alla necessità di trovare un’intesa per superare l’impasse.
La lettera inviata dal Presidente del Consiglio Renzi ai senatori della maggioranza e le insistenti voci circa i prossimi incontri del premier con il leader di Nuovo Centrodestra, Alfano, il leader di FI, Berlusconi, e con esponenti di SEL (forse lo stesso Vendola) fanno intravedere come la partita della riforma costituzionale sia intrecciata a doppio filo con quella della legge elettorale e come ogni modifica all’attuale impostazione della riforma costituzionale debba poi prevedere corrispondenti rimodulazioni del Patto del Nazareno e della nuova legge elettorale (di conseguenza, diventa sempre più complicata la parallela fase di confronto tra PD e M5S). Una sorta di possibile effetto domino che spiega i tentennamenti del Governo davanti ad alcune delle richieste avanzate dai dissidenti PD e FI e dai Gruppi di opposizione (SEL e Lega su tutti). Il Governo sarebbe disponibile a limitate e mirate modifiche su alcuni punti del DdL (immunità dei futuri senatori, allargamento agli europarlamentari della platea che elegge il Presidente della Repubblica, riduzione del numero di firme necessarie per la richiesta di referendum, riduzione del numero di firme per la presentazione di disegni di legge di iniziativa popolare, Titolo V, bilanciamento dei poteri tra Camera e Senato), ma non vuole assolutamente correre il rischio di produrre una serie troppo estesa di precedenti che potrebbero insediare un pericoloso stato di “trattativa perenne”, sulla base del quale le concessioni sarebbero all’ordine del giorno, pena il blocco dei lavori del Parlamento.
Al netto di improvvisi cambi di scenario (che, tuttavia, non sono da escludere in toto), difficilmente il voto finale in Senato sulla riforma della Costituzione arriverà entro l’8 agosto. E altrettanto difficilmente il Governo imporrà ai senatori un tour de force solo per poter approvare il DdL ad agosto inoltrato, ma a prezzo di futuri rapporti deteriorati se non del tutto compromessi. Molto più probabile, invece, come da parte nostra auspicato sin dall’inizio, che la pausa estiva dei lavori parlamentari possa essere fonte di riflessione e possa essere utilizzata dai “pontieri” per cercare di ricucire gli strappi in vista di un’intesa più solida. Lo stesso Renzi, fino a qualche settimana fa restio a prendere in considerazione qualsivoglia ipotesi di slittamento, adesso non esclude di chiudere a settembre.
A Palazzo Madama l’esame del disegno di legge di riforma della Costituzione è entrato nella sua fase “calda” e Renzi è atteso alla prova dei fatti. In questo cruciale passaggio parlamentare, il Presidente del Consiglio deve dare pratica dimostrazione di abilità, sagacia, saggezza e lungimiranza politica. La speranza di tutti gli italiani è che riesca dove molti dei suoi predecessori hanno fallito: passare dalle parole ai fatti, dalle promesse ai risultati.
Renzi e il suo Governo sanno bene quanto sia ardua, rilevante e molteplice la partita delle riforme, da quella della Costituzione a quella della legge elettorale, da quella del lavoro a quella del fisco e via dicendo. E sanno altrettanto bene che dal suo esito complessivo dipendono non solo le sorti – politiche – di Renzi e del suo Governo, ma anche quelle – ben più fondamentali e determinanti – dell’Italia intera.