L’approvazione definitiva della Legge di Bilancio 2020 sarà ormai poco più di una formalità, con il rush finale che si giocherà a ridosso di Natale alla Camera. Un passaggio più doveroso che necessario, con l’unico obiettivo di concludere l’iter parlamentare
E’ ormai questione di giorni ma, quel che è già certo è che difficilmente spunteranno emendamenti e modifiche sostanziali al testo della Legge di Bilancio 2020; un po’ per la mancanza dei tempi tecnici per una seconda navetta tra i due rami del Parlamento e un po’ perché l’odore di fritto della vigilia inizierà a spargersi anche nelle stanze di Montecitorio, così come i numeri della tombola o la grave incombenza familiare di meritarsi il delicato ruolo del mercante ne “Il mercante in fiera”.
In definitiva, anche con il ricorso all’indispensabile fiducia, il testo verrà licenziato come da prassi entro il 31 dicembre.
Una manovra della quale si è discusso molto e per la quale uno dei principali protagonisti, ovvero il titolare del Mef Roberto Gualtieri, uomo solitamente parco nei toni, non ha esitato ad adoperare il termine “miracolo”.
E a onor del vero qualcosa di miracoloso c’è stato nel riuscire a chiudere la legge più importante dello Stato nei tempi previsti, tenendo conto di tutte le forme di opposizione che un governo nato da una situazione emergenziale ha dovuto affrontare.
Eppure tra Legge di Bilancio e Decreto Fiscale, i testi legati alla vecchia finanziaria si tirano dietro un “ma” carico di vaghezza e perplessità.
Il Presidente del Consiglio Conte e gli uomini più in vista del suo esecutivo hanno a più riprese difeso la manovra spiegando come il grande impegno sia stato nel disinnescare le pesanti clausole IVA da 23miliardi di euro che avrebbero impattato ingentemente sui consumi degli italiani già abituati a una stasi che ha messo radici.
Ma, storicamente, nessun Governo ha mai incassato il plauso popolare per avere evitato l’aumento delle tasse; quanto più le piazze, fisiche o digitali, hanno sempre espresso il gradimento per l’abolizione – più dichiarata che perpetrata – di imposte e balzelli vari.
Il problema di questa manovra è che manca di una vera “bandiera”, un emblema di facile interpretazione, anche dietro il quale celare operazioni tanto dolorose quanto necessarie.
Senza scomodare i grandi show delle finanziarie di berlusconiana memoria, anche solo tornando indietro di un anno con la sfida interna all’allora governo gialloverde, vi erano le due bandiere: Reddito di Cittadinanza e Quota 100 che hanno dato modo, rispettivamente a Di Maio e Salvini, di trincerarsi fino all’ultimo dietro ai due provvedimenti.
Nel quadripartito che attualmente governa il Paese invece, sono mancate sicuramente le risorse ma anche pesantemente le idee. Italia Viva ha scelto la via del no aprioristico, nella battaglia per un quotidiano posto al sole su social e giornali; il Pd ha cavalcato – ma a passo di cammello – il taglio del cuneo fiscale ottenendo fondi tanto esigui dal non sapere come redistribuirli; il M5S invece, rimpiangendo la verginità perduta e guardando con nostalgia ai movimenti di piazza come le Sardine, ha spolverato un cavallo di battaglia dei bei tempi andati, portando a casa l’inasprimento delle pene per gli evasori fiscali. Una nota di merito va data a Leu, che con il ministro Speranza ha iniziato, non proprio a riformare, ma almeno a mettere una pezza al martoriato sistema sanitario.
Una partita a parte l’ha poi giocata anche lo stesso Conte che sulla lotta all’evasione fiscale pare averci speso notti insonni. Il presidente ha ottenuto fondi per circa 3 miliardi di euro per creare un meccanismo di cash back, una sorta di restituzione per i cittadini virtuosi che scelgono pagamenti digitali e che, nelle stime dello stesso avvocato degli italiani, potrebbe arrivare fino 2mila euro annui a contribuente.
Dal 2021 però.
Una parentesi a parte la merita però il grande classico di fine anno, un po’ come il cotechino con le lenticchie, che nessuno mangia così volentieri ma non può mancare: il “milleproroghe”, un decreto dove infilare un po’ tutto, come gli avanzi del cenone da scaldare nei giorni successivi. Rinvio del mercato libero di luce e gas, intercettazioni, lotteria degli scontrini, tetto al limite dei contatti: tutte misure che troveranno spazio nel decretone.
Tornando alla manovra, il rischio vero della Legge di Bilancio quindi è che non avendo forti peculiarità venga ricordata per tasse e tassicciuole, balzelli e accise, anche se rimodulati e sgonfiati da trattative estenuanti; dalla tassa sulla fortuna alla sugar tax, dalla stretta sulle auto aziendali alla plastic tax: dovevano garantire tutte gettiti miliardari che son diventati in corso d’opera, milionari.
Tuttavia i giochi sono ormai fatti e, l’eventualità più probabile, è che questa manovra sia dapprima ricordata come una legge incolore e dunque dimenticata in fretta. Perché in definitiva la vera mancanza di questa manovra – ma anche di troppe precedenti – è quella di un’idea programmatica: un intervento strutturale sul debito pubblico, arrivato a 2.447 miliardi di euro; un vero supporto alla genitorialità, considerato lo spaventoso calo demografico; soluzioni per un sistema previdenziale al collasso e in generale per un’entrata e uscita dal mondo del lavoro che non sia così complicata per chi è prossimo alla pensione e denigrante per i giovani; un qualsiasi straccio di proposta che non sia ancorata a un eterno presente, insomma.
Quel che manca a questa manovra – ma anche a troppe precedenti – è purtroppo una visione del futuro.