Ma le imprese non assumono per divieto e non si possono vietare le delocalizzazioni. Failla (LabLaw) commenta la bozza del decreto dignità
di Valentina Magri
Il decreto dignità, che dovrebbe arrivare a fine mese, sta già suscitando un grande dibattito, prima ancora di essere varato. A seguito dell’intervista dove il numero uno di Foodora Gianluca Cocco minacciava di lasciare l’Italia se i rider fossero stati considerati lavoratori subordinati dal decreto, il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha deciso di aprire un tavolo negoziale sul settore della gig economy.
Labparlamento ha intervistato sul tema Luca Failla, giuslavorista e cofondatore dello studio legale LabLaw, specializzato in diritto del lavoro, relazioni industriali e diritto d’impresa.
Secondo lei il decreto dignità potrebbe fermare il precariato, come si propone il Ministro Luigi Di Maio?
“In questo decreto, stando alle anticipazioni, si parla di più temi, tra cui la gig economy, e i contratti a termine, con una limitazione alle proroghe, una riduzione del loro numero massimo e una introduzione delle causali.
Non mi sembra si stia andando nella direzione giusta. Se siamo in una fase di ripresa c’è occupazione, se non lo siamo, l’occupazione non c’e, indipendentemente dai decreti. Sono poco convinto che un’azienda assuma a tempo indeterminato solo perché le sono vietati i contratti a termine. Le aziende assumono per gli incentivi alle assunzioni come avvenne col Jobs act, oppure quando hanno davvero bisogno di risorse e le trovano. È difficile che un’impresa assuma solo perché c’è un divieto.”
Dal punto di vista giuridico, ha senso riconoscere i rider come lavoratori subordinati?
“Dal punto di vista strettamente giuridico no, perché il concetto di subordinazione presuppone qualcosa di più di un lavoratore che risponde a una chiamata. Tant’è che il Tribunale di Torino in una recente sentenza ha stabilito che un lavoratore di Foodora non fosse subordinato. Un’altra cosa è dire che abbiano diritto a delle tutele minime, che è giusto. Non potrebbero però avere lo stesso trattamento dei subordinati, a meno di allargare concetto di subordinazione”.
Quale ritiene sia il modo più corretto per inquadrare i rider?
“Oggi sono dei lavoratori autonomi, pagati a consegna. Credo che la strada giusta sia un tavolo di contrattazione, che ora si sta aprendo, con un CCNL che stabilisca la durata massima della prestazione, il denaro con cui remunerare i rider. In alcuni paesi i rider sono subordinati, in altri sono autonomi. Le aziende dovrebbero fare doverosamente e correttamente un contratto collettivo, impegnandosi a pagare un certo prezzo, ma ci si può arrivare anche senza qualificarli come lavoratori subordinati.”
A suo avviso ha senso inserire dei disincentivi alla delocalizzazione nel decreto dignità?
“Il divieto di delocalizzazione per un’azienda che è arrivata in Italia è un’eresia sia per il diritto italiano, che comunitario, che internazionale: la libertà di iniziativa economica comprende la possibilità per un’impresa di chiudere e trasferirsi all’estero.
Tutt’altra cosa è dire che le aziende che hanno percepito incentivi in Italia non possono lasciare il paese per un certo periodo, perché devono restituire l’investimento fatto dallo Stato su di loro e ammortizzare il beneficio che hanno ottenuto. Lo stesso avviene già in altri paesi, come Albania e Montenegro, dove alle imprese che investono è anche data una durata minima per restare nella nazione. Tuttavia, cambiare le regole del gioco in corsa non è semplice, nel caso in cui le nuove regole si applichino a tutte le aziende in Italia oggi e non solo a quelle nuove che arrivano.”
Come giudica la proposta di abolizione degli studi di settore, che dovrebbe rientrare nel decreto?
“Imprese, piccoli imprenditori e liberi professionisti sarebbero più che felici. Gli studi di settore sono uno strumento un po’ pericoloso e mai troppo amato dalle aziende. La mia preoccupazione è che un provvedimento di questo tipo potrebbe portare a un calo del gettito fiscale.”