Il mese di giugno 2015 doveva essere il mese nel corso del quale avrebbe dovuto riprendere l’esame parlamentare del disegno di legge di riforma della Costituzione. Il DdL Boschi è infatti fermo dal 10 marzo 2015, quando la Camera ha approvato il provvedimento apportando alcune rilevanti modifiche rispetto all’articolato che era stato licenziato dal Senato l’8 agosto 2014. Il Parlamento ha quindi rispettato l’«intervallo non minore di 3 mesi» che l’art. 138 della Costituzione impone al percorso che regola la sua stessa revisione.
La Commissione Affari costituzionali del Senato è pronta a riaprire l’esame sul provvedimento (probabilmente da martedì 7 luglio), ma al momento si lavora sotto traccia per ricucire lo strappo tra la maggioranza dei senatori PD (in linea con il premier Matteo Renzi e il Ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi) e i dissidenti (che potrebbero essere circa 30). Il Governo ha posto un ambizioso obiettivo: approvare il DdL in terza lettura prima della pausa estiva dei lavori parlamentari (quindi prima dell’8 agosto 2015). Verosimilmente, questo obiettivo potrà essere raggiunto agevolmente solo se Renzi aprirà all’introduzione dell’elezione diretta dei futuri senatori. Qualora il premier decidesse di non accettare mediazioni sul punto (in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 31 marzo 2014, Renzi aveva legato il suo stesso futuro politico alla riforma del Senato in senso non elettivo), la partita parlamentare diverrebbe estremamente complicata e probabilmente più lunga, dato che in Senato la maggioranza che sostiene il Governo non possiede numeri sicuri.
Dopo le regionali e amministrative di fine maggio, che hanno fatto registrare un calo di consenso per il PD, il premier si è mostrato sicuro di poter riuscire a riconquistare quella fetta dell’elettorato perso dopo le europee del 2014 semplicemente tornando a essere il “primo Renzi”, quello poco propenso al compromesso. La partita della riforma costituzionale sarà quindi un validissimo banco di prova per valutare se Renzi è ancora nelle condizioni di essere il deus ex machina della politica italiana o se dopo poco più di un anno a Palazzo Chigi la sua vocazione riformatrice è stata intaccata dallo spirito che pervade i palazzi della politica a Roma, uno spirito più incline alla ricerca dell’accomodamento che a quella del cambiamento.