Il Codice, il fisco, il volontariato, le nuove piattaforme, i finanziamenti… Facciamo il punto dopo il via libera finale del Cdm
di Gabriele Sepio
Il Consiglio dei Ministri ha approvato nei giorni scorsi, in via definitiva, tre decreti legislativi relativi al Codice del Terzo settore, all’impresa sociale e all’istituto del 5 per mille, che vanno a completare l’attuazione della Legge delega per la riforma del Terzo settore (legge n. 166/2016), assieme al decreto di costituzione della Fondazione Italia sociale e a quello sul servizio civile universale che erano stati approvati in precedenza.
Al centro del processo di riforma si pone il nuovo Codice del Terzo settore che interesserà la vasta platea del no profit italiano che conta oggi più di 300 mila associazioni ed enti di vario genere e 5 milioni di volontari, come ricordato dal Governo nella conferenza stampa successiva all’approvazione dei decreti. Con il Codice viene finalmente introdotta una definizione giuridica di “Ente del Terzo settore” (ETS), che verrà attribuita con l’iscrizione in un Registro unico nazionale, gestito dalle Regioni per il tramite di una piattaforma unitaria, in sostituzione dei molteplici registri preesistenti. Più in dettaglio, entro 12 mesi dalla entrata in vigore del Codice del Terzo settore, il Ministero del Lavoro definirà le linee guida per iscrizione nel Registro e l’istituzione della relativa piattaforma. Nei successivi 180 giorni le Regioni e le Province autonome regoleranno i procedimenti per l’iscrizione e cancellazione dal Registro, rendendolo così pienamente operativo. Nel frattempo, gli enti interessati dalla riforma potranno adeguare i propri statuti ai contenuti del nuovo Codice ed applicarlo così fin da subito, in attesa di potersi iscrivere al Registro.
La maggiore uniformità del comparto no profit verrà garantita anche dal punto di vista fiscale, che viene regolato all’interno del Codice con regole di carattere generale valide per tutti gli ETS. Sotto questo profilo, in attesa dell’operatività del Registro unico nazionale, gli attuali enti potranno applicare già dal 1 gennaio 2018 una serie disposizioni agevolative, come le esenzioni dall’imposta sulle successioni, donazioni, registro, ipotecarie e catastali in caso di trasferimento di beni destinati allo svolgimento delle attività di interesse generale.
Per il volontariato e le associazioni di promozione sociale viene poi introdotta una nuova norma di favore che esenta ai fini IRES gli immobili e i redditi da questi rinvenibili destinati in via esclusiva allo svolgimento o al finanziamento di attività non commerciale. Inoltre per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore è prevista già dal 1 gennaio 2018 una detrazione IRPEF pari al 30 per cento, che sale al 35 nel caso in cui beneficiaria sia una ODV, ferma restando la possibilità di optare per una deduzione (più conveniente per donatori con redditi elevati). A fronte di liberalità in denaro o in natura erogate da società ed enti, parimenti, viene ammessa fin da subito la deducibilità nei limiti del 10 per cento dichiarato, con eliminazione del limite attuale di 70 mila euro previsto dall’art. 14 del DL 35/2005 (c.d. “più dai meno versi”).
Sempre a partire dal 2018 entreranno in vigore anche le disposizioni tese a favorire i finanziamenti alle attività di interesse generale svolte dagli ETS, come i c.d. “titoli di solidarietà” e le piattaforme di social lending, nonché il “social bonus”, un credito di imposta mirato ad incoraggiare le donazioni per il recupero da parte degli ETS di immobili pubblici inutilizzati e/o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
In una seconda fase, condizionata all’autorizzazione comunitaria delle nuove misure notificate alla Commissione europea ed all’effettiva operatività del Registro, entreranno in vigore le disposizioni che stabiliscono più precisi criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale dagli enti, con l’obiettivo di superare le varie discipline settoriali che fino ad oggi hanno reso evanescente il confine tra attività commerciali e non commerciali. Al riguardo il Codice affianca a norme specifiche che disciplinano le varie attività non commerciali (ad es, raccolta fondi o quote associative) una disposizione di sistema – l’articolo 79 – che esclude la commercialità delle attività di interesse generale (cfr. articolo 5) i cui costi, effettivamente sostenuti, non superano i corrispettivi ricevuti. Ai fini di questo calcolo, si tiene conto anche degli eventuali apporti economici ricevuti delle pubbliche amministrazioni o di importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento. In concreto, un ente che svolge attività di interesse generale (ad esempio, in ambito socio-sanitario) a titolo gratuito o per corrispettivi che coprono soltanto i costi (se non già coperti da eventuali apporti pubblici o quote di partecipazione previste dall’ordinamento) avrà la certezza di potersi qualificare fiscalmente come ente non commerciale.
Gli ETS assumono la qualifica di enti non commerciali potranno finanziarsi svolgendo attività di impresa non prevalenti, che verranno tassate con un regime forfetario opzionale basato su coefficienti di redditività crescenti in ragione del volume di ricavi prodotto (art. 80). Per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale sono previste ulteriori attività non commerciali con le quali sarà possibile autofinanziarsi (ad es. somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale) ed è concesso un regime speciale basato su coefficienti di redditività ulteriormente ridotti (1 o e 3 per cento), senza obbligo per l’Ente di emettere fattura e senza detrazione dell’IVA sugli acquisti (che si trasforma così in un costo deducibile), per attività commerciali con ricavi inferiori a 130 mila euro l’anno.
Resta da osservare che in ogni caso gli ETS che esercitano prevalentemente attività commerciale avranno la possibilità di accedere al regime dell’impresa sociale che, per la prima volta, viene puntualmente disciplinata sul piano tributario, grazie alla detassazione degli utili o avanzi di gestione destinati ad incremento delle riserveindivisibili dell’impresa sociale in sospensione d’imposta e che venganoeffettivamente impiegati per lo svolgimento dell’attività statutaria o adincremento del patrimonio, analogamente a quanto già previsto per lecooperative sociali e per i consorzi tra piccole e medie imprese. Gli investitori in imprese sociali potranno, peraltro, beneficiare di crediti d’imposta per gli investimenti di capitale effettuati, in modo simile a quanto avviene per le start-up innovative, in modo tale da compensare i forti limiti previsti per la distribuzione degli utili.