di Francesco Scolaro
Entra nel vivo l’esame parlamentare in Senato sul disegno di legge di riforma della Costituzione.
A dare fuoco alle polveri – per la verità, accese già da tempo, come bene testimonia la vicenda dell’autosospensione dei 14 senatori del PD – è stato un emendamento presentato in Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama dai relatori (Anna Finocchiaro del PD e Roberto Calderoli della Lega). Questo emendamento dispone l’immunità per i sindaci e i consiglieri regionali che andranno a comporre il nuovo Senato.
La previsione dell’immunità per i futuri senatori, ineccepibile dal punto di vista costituzionale ad art. 68 invariato (non potendosi prevedere tutele diverse per deputati e senatori che compongono lo stesso Parlamento), è difficilmente accettabile dall’opinione pubblica italiana sempre alle prese con uno stato di profonda diffidenza verso la classe politica nel suo complesso. Una diffidenza amplificata dai recenti e gravissimi casi di corruzione emersi nell’ambito dei lavori per EXPO 2015 e per il Mose di Venezia, al vaglio della magistratura.
Le soluzioni praticabili sono essenzialmente due: si elimina tout court l’istituto dell’immunità parlamentare (già ampiamente ricalibrato e limitato negli anni ’90 dopo i fatti di Tangentopoli) oppure lo si estende anche ai senatori, pur restringendolo alle opinioni e ai voti espressi durante i lavori del Senato (evitando così di creare una categoria di amministratori locali più tutelati degli altri).
È molto probabile che proprio sulla risoluzione di questo spinoso e tutt’altro che secondario punto si incentrerà il dibattito sia in Senato, sia all’interno dei vari partiti (oltre che in campo dottrinale).
Sempre in Parlamento, è interessante valutare la durata e seguire le dinamiche dell’effetto “calamita” che il PD esercita da quando la leadership di Renzi è stata consolidata dal voto delle europee. Questa capacità d’attrazione è esercitata soprattutto nei confronti dei parlamentari appartenenti ai soggetti politici che negli ultimi tempi hanno mostrato segnali di appannamento e di “stanchezza”: su tutti, il MoVimento 5 Stelle di Grillo, Sinistra Ecologia Libertà di Vendola e Scelta Civica, con l’eccezione rilevante di Forza Italia e Nuovo Centrodestra. Gli ultimi, in ordine di tempo, ad aver lasciato il proprio partito (e Gruppo parlamentare) sono stati il Sen. Dalla Zuanna (ex SC e adesso PD) e l’On. Migliore (ex capogruppo di SEL alla Camera, ora nel Gruppo Misto ma in procinto di aderire al PD). E l’esodo verso il PD ha tutta l’aria di essere destinato a non concludersi nel breve periodo.
Mercoledì 25 giugno è previsto il tanto atteso confronto tra i vertici del PD e quelli del M5S sul tema della legge elettorale (tuttavia, è inevitabile si parli anche di riforme e Costituzione). Renzi continua a ribadire che su alcuni punti non si possa tornare indietro e perdere l’opportunità di giungere ad un risultato. Come non bastasse, il Democratellum proposto dai Cinque Stelle è di impostazione proporzionale, diversamente dall’Italicum. Sembra quindi estremamente difficile che questo “strabismo” in materia di legge elettorale possa condurre ad un accordo (che, comunque, la base del M5S farebbe fatica a comprendere e approvare). Più probabile, invece, che l’incontro si riveli l’ennesima mossa di una lunga, estenuante (e fin qui sterile) partita a scacchi.