di Francesco Scolaro
8 agosto 2014: potrebbe essere questa la data del primo “SI” parlamentare al disegno di legge di riforma della Costituzione. Poi la strada sarà ancora lunga (mancheranno altri tre passaggi parlamentari e l’eventuale referendum), ma un solco decisivo sarà stato tracciato.
Quello che fino ad una settimana fa sembrava un obiettivo tanto ambizioso quanto irraggiungibile, adesso, a quattro giorni dalla pausa estiva dei lavori del Parlamento, sembra essere alla portata: l’Aula del Senato potrebbe concretamente riuscire ad approvare il DdL entro venerdì 8 agosto.
Alla base di questa clamorosa accelerazione politico-parlamentare si possono individuare sicuramente almeno tre punti: l’utilizzo da parte del Presidente Grasso della cosiddetta “regola del canguro” che ha indubbiamente aiutato a sveltire le procedure di esame e votazione degli emendamenti; la disponibilità manifestata dal Governo a dialogare con le opposizioni in vista di possibili ritocchi su alcuni punti del DdL; le ripetute aperture di Renzi verso aggiustamenti al disegno di legge contenente la nuova legge elettorale, il cosiddetto “Italicum”. Il voto finale entro l’8 agosto sembra più vicino anche perché le opposizioni hanno quasi del tutto esaurito il tempo che la Conferenza dei Capigruppo del 24 luglio scorso aveva assegnato loro: ciò implica che le sacche di ostruzionismo saranno residuali e non potranno intralciare i lavori in maniera determinante. Un ostacolo ai lavori potrebbe invece essere costituito dal probabile ingorgo che potrebbe registrarsi in Aula in questa settimana, per via della conversione in legge dei due decreti legge in scadenza (Competitività e Riorganizzazione PA).
La prima vera settimana di votazioni sui 7.850 emendamenti presentati in Aula al DdL costituzionale ha prodotto l’approvazione dei primi due (fondamentali) articoli e la drastica riduzione delle proposte emendative ancora da votare (circa 2.700). L’art. 1 ridefinisce le funzioni del Senato e decreta il fatto che sarà solo la Camera dei Deputati a votare la fiducia al Governo, mentre il Senato sarà organo di raccordo tra Stato, Regioni e Comuni e avrà alcune competenze sulle normative europee. L’art. 2 riguarda la composizione e le modalità di elezione del nuovo Senato che sarà costituito da 100 membri non eletti in via diretta (74 consiglieri regionali e 21 sindaci, più 5 membri di nomina presidenziale). Gli articoli che devono ancora essere approvati sono 38, ma il vero scoglio era rappresentato dagli articoli 1 e 2: si ha plastica evidenza di ciò se si considera che circa 5.100 emendamenti dei 7.850 complessivi erano riferiti proprio a questi due articoli.
Come abbiamo sempre sostenuto, i due progetti di riforma (costituzionale ed elettorale) sono indissolubilmente legati a doppio filo tra loro. Quando Renzi arrivò a Palazzo Chigi incardinò subito il DdL contenente la nuova normativa elettorale in Parlamento e, dopo il primo “SI” da parte della Camera, il suo iter in Senato è stato del tutto fermato per lasciare il campo al DdL di riforma della Costituzione. Troppo forte sarebbe stato il sospetto che il reale obiettivo di Renzi potesse essere la legge elettorale – da approvare quanto prima – per poter velocemente rovesciare il banco e andare alle urne con la speranza di replicare (se non di migliorare) l’ottima performance delle europee di maggio (con il PD al 40,8%). La scelta del Governo ricadde sul dare priorità alla riforma costituzionale e sul porre in temporaneo stand-by la legge elettorale: un modo di rassicurare le opposizioni (e anche gli alleati di NCD e SC) che le elezioni non erano all’ordine del giorno e che il respiro del Governo sarebbe stato di legislatura. Così facendo, Renzi e il PD si sono comunque riservati l’opzione “voto anticipato” come via d’uscita da un’eventuale stallo parlamentare che fosse tale da bloccare in toto le riforme.
Lo stesso Patto del Nazareno tra Renzi (PD) e Berlusconi (FI) si regge sui medesimi due pilastri (ne dà conferma lo stesso Renzi, oggi, rispondendo alle domande di Claudio Tito su la Repubblica) sui quali si regge l’intera legislatura. La garanzia che qualunque modifica si decidesse di apportare ad uno dei due disegni di legge implicherebbe corrispondenti e concomitanti correzioni all’altro può essere considerata quasi come una sorta di garanzia contro repentine fughe in avanti verso elezioni anticipate. Elezioni che, per quanto non si possano escludere neanche in uno scenario di medio-breve periodo (6-8 mesi), il Presidente del Consiglio Renzi asserisce di non stare pianificando. Renzi, anzi, rivela che presto (a fine agosto o, al massimo, nei primi giorni di settembre) verrà presentato al pubblico il programma per i 1000 giorni di Governo. Così facendo, Renzi immagina e tratteggia un arco temporale esteso, che arriverebbe al 2018 (quindi al termine naturale della legislatura), lungo il quale si dovrebbe esplicare l’azione del suo Governo, finalizzata a portare a compimento tutte quelle indispensabili riforme (comprese quelle economiche, urgentissime) senza le quali difficilmente l’Italia riuscirà a spingersi fuori dalla crisi.