Forse non tutti lo sanno ma ieri a Pescara, con la sospensione delle molte sigle che fanno riferimento all’esperienza dc, è rinata la Democrazia Cristiana. Ad animare questo clamoroso ritorno è Gianfranco Rotondi che a LabParlamento spiega gli obiettivi della nuova balena bianca al tempo dei sovranismi dominanti
La prateria del campo moderato che le elezioni del 4 marzo hanno lasciato senza una forza politica di riferimento sarà il vero oggetto della contesa delle prossime europee che sanciranno definitamente (forse) la fine degli storici equilibri della seconda repubblica.
In vista dei prossimi appuntamenti elettorali la novità di questo agosto 2018 è la rinascita della Democrazia Cristiana, sancita ieri a Pescara con la sospensione delle attività delle molte sigle di ispirazione democristiana. Dopo diciotto anni di scissioni, fusioni e tante carte bollate l’interminabile e a tratti feroce diaspora è dunque terminata.
Protagonista assoluto di questo clamoroso ritorno è Gianfranco Rotondi, democristiano doc, già ministro del IV governo Berlusconi e da sempre il principale fautore di un ritorno della Balena Bianca. Operazione nostalgia o nuovo contenitore dalle nuove idee? A spiegarcelo è il diretto interessato.
Onorevole Rotondi, in tempi di sovranismi e di partiti liquidi, da dove nascere l’esigenza di riproporre la Dc?
In Italia si fanno solo sondaggi sulle intenzioni di voto. Proviamo a farne uno sulle identità politiche, immaginiamo di chiedere: quale è la tua ideologia politica? È difficile che qualcuno risponda leghista o democratica o forzista perché non c’è; questi partiti ottengono il voto di cittadini di diverse ideologie costretti a scegliere tra i contenitori che sono in campo (e non tutti si fanno costringere, visto l’astensionismo). Il ritorno della Dc può essere un tentativo di riunire identità e militanza, contenuti e contenitori.
Che significa essere democristiani nella terza repubblica e in un panorama politico dagli incerti confini ideologici dove crede che la futura Dc possa giocare il proprio ruolo?
Esiste nel mondo una florida Internazionale democristiana. In Europa la Dc governa paesi importanti a cominciare dalle Germania. Perché in Italia non può esistere? Principalmente perché non conviene ai democristiani che si sono completati la carriera nei partiti successivi, me compreso. A differenza degli altri democristiani io mi giovo della larghezza di vedute di un leader come Silvio Berlusconi che non mi ha mai impedito di dirmi democristiano e probabilmente mi ha sempre ricandidato principalmente per questo.
Per la prima volta dopo tanti anni a destra come a sinistra, gli ex Dc (ad esclusione del Capo dello Stato) non ricoprirono più un ruolo rilevante all’interno di cariche pubbliche. Segno dei tempi che cambiano?
Non confonderei la Dc coi democristiani per i quali vale ciò che si diceva dei socialisti: come le patate, i migliori stanno sottoterra. La Dc è una visione della storia, della società, dell’uomo: questa visione è attuale, forse è la sola che si può contrapporre alla violenza dei populismi. Va affidata a menti ospitali e giovani di coraggio.
Se la Dc fosse oggi al governo quali sarebbero stati i provvedimenti più importanti che avrebbe messo in atto?
La Dc fu cacciata dal governo perché i francotedeschi non avrebbero potuto imporre quel cambio dell’euro a una Italia guidata da Craxi e Andreotti. L’Europa anti-italiana è nata dopo la fine della Dc e in politica la cronologia non è mai casuale. Una forte Dc italiana imporrebbe un altro passo all’Europa perché avrebbe un’altra autorevolezza coi partners. Non a caso le sole risorse difensive del sistema Paese si chiamano Antonio Tajani e Mario Draghi.
Dove si è ricollocato quel terzo del Paese che votava Dc? Che fine hanno fatto i democristiani?
I democristiani invecchiano, muoiono, ma sono un terzo degli italiani che hanno da quaranta a novanta anni, e che sono la classe dirigente e il motore del Paese. Se riusciamo ad attaccare questo motore al nostro tentativo, alle prossime elezioni non ce ne sarà per nessuno.